L’articolo fa parte della raccolta “Backup di una Piazza”: www.listonemag.it/backup

 

Qualcuno si ricorda delle elezioni comunali del 2004? Io quell’anno ero già a Ferrara ma da studente fuori sede, iscritta al primo anno di lettere, e ammetto senza pudore di non essermi nemmeno accorta del fatto che in città vi fosse del trambusto politico. Nemmeno sapevo chi fosse il sindaco uscente, figuriamoci se potevo conoscere i nuovi candidati, le liste, le coalizioni. Questo mi dispiace, perché durante la campagna elettorale del 2004 si verificò qualcosa che col senno di poi avrei voluto vedere: una sorta di anomalia creativa, inaspettata e spettacolare. Tra vari partiti noti e meno noti, partecipò alla corsa una lista civica molto particolare: si chiamava Eco Tecno Area, il suo simbolo era un subwoofer.
Per capire cosa mi sono persa incontro Antonio, Frida e Filippo, che furono tra i numerosi organizzatori e sostenitori di quel movimento.

Filippo, scrittore e videomaker, racconta l’esordio: «Avevamo cominciato a pensare di creare un gruppo chiamato Autonomia Sociale ma suonava un po’ destroide, all’epoca c’era Base Sociale, e insomma non andava bene. Eravamo una cinquantina. C’era Alfonso, Seba, Franki Ferioli, Juri, Jacopo Guidi del Jazz Club, Ale Fabbri, Razzo, Benni, Afghan, Cry. Io quel periodo stavo a Milano dove facevo molta attività politica, cioè: facevo del gran casino. Qui a Ferrara cercavo qualcosa più dadaista. Volevamo fare una lista civica. Come presa per il culo? Un po’ sì, ma non volevamo una messa in scena, volevamo che fosse reale».

Da dove è arrivato il nome del gruppo?

Filippo: «Il nome non ci veniva. Noi eravamo ecologisti e contro la Turbogas ma eravamo anche tecnologici, antiproibizioisti, legati alle questioni no global. Provavo diversi acronimi, a un certo punto ho scritto Eta: Eco Tecno Area. Gli altri sono stati subito d’accordo. Per il logo i colori scelti sono stati il nero, il verde e il bianco. Lo spirito era più anarchico che comunista».

Come avete fatto a candidarvi?

Frida, attrice e regista teatrale: «All’inizio volevamo candidare a sindaco un personaggio assurdo, qualcuno tipo “gat mil franc”, un matto. Ci siamo resi conto però che costituire una lista civica indipendente in così poco tempo era impossibile sia per le firme da raccogliere che per i costi, avremmo dovuto proporre anche tutta una serie di consiglieri. Quando ci siamo proposti a sostegno del sindaco Sateriale la scena sarebbe stata veramente da riprendere!».

Filippo: «Avevamo un mese di tempo per organizzarci, ma eravamo un gruppo molto trasversale e abbiamo raccolto un tot di firme, non so più quante servivano per presentarsi. Potevamo proporre un nostro sindaco oppure appoggiare un candidato, l’unico plausibile quella volta era Sateriale e abbiamo deciso di appoggiare lui».
Antonio, cantante degli Strike: «Molti in città storsero il naso per questa decisione, soprattutto quelli di Rifondazione. I primi nostri nemici sono stati i Verdi, perché Ronchi non sopportava che ci fosse un’altra formazione con istanze ecologiste al di fuori della sua».

Courtesy Filippo Massellani

Quali erano i vostri obiettivi?

Antonio: «Non avevamo radici, un passato politico, interessi da difendere. Gli obiettivi erano semplicemente due: ottenere uno spazio multidisciplinare ed ecosostenibile e informare la cittadinanza sul tema della Turbogas, che non volevamo venisse finanziata. Non vendevamo un prodotto. Volevamo smontare il prodotto. Lo spazio che volevamo realizzare avrebbe dovuto essere a basso impatto ambientale, avevamo anche già contattato una ditta che si occupava di centraline a idrogeno. Lo scopo era metterlo al servizio della comunità – anziani, bambini, famiglie – organizzare corsi di musica e laboratori i teatro, realizzare un orto condiviso. Avevamo tantissime idee, come quella di aprire un consultorio ginecologico per le donne extracomunitarie».

Di cosa si è alimentata la campagna elettorale?

Filippo: «Abbiamo fatto due comizi in piazza. Il primo molto colorato, zingaresco, carnevalesco. Io ero vestito da medico, senza un motivo particolare, avevo trovato quello. Ci andammo con delle sagome enormi di polli, le aveva Franki. Per stare a tema cantavamo «Met zò cal pui» di Alfio Finetti, una canzone contro i ladri. Sul palco parlavano un po’tutti, le rivendicazioni erano per una politica più ecologista e per una cultura diffusa, non elitaria».
Frida: «Ci sbattevamo della roba addosso, ci mostravamo, sembravamo una parata. Ci chiesero se avevamo l’autorizzazione per lo spettacolo. Fermavamo le persone e gli cantavamo le canzoni».
Antonio: «I polli erano il nostro emblema, avevamo queste sagome veramente giganti. Erano un richiamo metaforico alla pollitica, alla politica che tratta la gente come polli».
Filippo: «Il secondo comizio era totalmente nero. Avevamo preparato una discesa più militante, siamo arrivati in piazza da Ercole I d’Este, tiravamo dei gran petardi. Un corteo musicale creativo con le fisarmoniche e i tamburi, un po’Agit-Prop. I cartelloni erano bellissimi, artistici, tutti diversi e tutti disegnati da Seba. Ce n’era uno alla Duchamp che raffigurava “La dama con l’ermellino” di Leonardo, ma la faccia della donna era quella di Alfonso Santimone».
Antonio: «Partimmo dalla questura e arrivammo in piazza da strade diverse, alcuni da corso Martiri altri da via Bersaglieri del Po, con i passamontagna e i polli giganti, gli slogan e il soundsystem. Eravamo pochi ma facevamo un bell’effetto. Camminando cantavamo il «Pollo bughi», un motivo che elencava in modo beffardo i personaggi della politica nazionale».
Filippo: «Durante quel comizio ci fu il concerto bellissimo di Alfonso sul listone, io lessi tutto “Tecno Teppa”, poema scritto dopo le giornate al G8 di Genova. Sul sito però questo video lo pubblicammo al contrario. Perché? Così».

Le reazioni dei cittadini di fronte ai vostri comizi? C’era pubblico?

Filippo: «Di pubblico ce n’era molto, d’altra parte eravamo in piazza. Le reazioni? Molto scettiche. Qualcuno era entusiasta ma più che altro erano degli ubriachi. Le istituzioni e le forze dell’ordine erano disorientate: capivano che non eravamo pericolosi ma anche che non c’eravamo del tutto. Eravamo un po’ bordeline. Una generazione di trentenni creativi e critici, tutta unita, come fenomeno fu molto hippy. I vecchi che ci guardavano erano sconvolti. Stefano Lolli sul Resto del Carlino ci dedicò intere pagine, ci seguiva attentamente, ci chiamava «la nuova tribù urbana di Ferrara». Di sicuro ravvivammo molto l’ambiente politico: un gruppo di pazzi che entra in campagna elettorale. Risultavamo un po’come gli indiani metropolitani degli anni Settanta. Ci siamo divertiti tantissimo».

Come si concluse quell’esperimento?

Frida: «Eravamo scoordinati e molto liberi, quel movimento ci è servito per dimostrare che ci sono molti modi di partecipare alla vita del Paese, al di là del voto. Dopo il G8 di Genova si è chiusa un’era. Avevamo toccato con mano la tragedia. Eco Tecno Area ha provato ad essere una risposta, un modo per scoprire e far riscoprire gli spazi democratici sanciti dalla nostra Costituzione: dimostrare a noi e alla città che chiunque può fare una lista, entrare in consiglio e provare a capire cosa succede».
Filippo: «Alla fine prendemmo circa 350 voti, più dell’Udeur di Mastella».

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