L’altra sera eravamo in mezzo alla folla ad assistere a uno degli innumerevoli spettacoli del Ferrara Buskers Festival. Sorte che ci capita inderogabilmente da 27 anni, come il pranzo di Natale coi parenti o le code in autostrada in agosto. Un cerchio di curiosità e ammirazione e diffidenza – tutte insieme – si stringeva attorno a un ragazzo sardo che suonava la chitarra. Stazionavamo in via Contrari, strada stretta che così colma di folla diventava ancora più stringente. Schiacciati contro le vetrine, mentre le corde erano pizzicate dalla fremente mano sarda, i nostri piedi venivano calpestati dalle ruote delle biciclette a mano dei passanti. Perché noi ferraresi siamo così: vogliamo passare in bici anche quando non si passa. «Mi scusi», «con permesso»: comunque sempre gentili, nel loro avanzare. Non eravamo infastiditi, però.

Quei copertoni sulle mie scarpe rigate dall’estate erano lì a dimostrarmi come l’impossibile sia possibile: che Ferrara può diventare per un giorno Venezia, Firenze, Roma, città stravolte e travolte da una massa umana di persone. Erano lì a dimostrarci che la convivenza tra musica, eventi e cittadini è complicata, che produce inevitabili scintille tra le parti estranee in contatto: quello che proviamo noi ferraresi per una settimana, ovvero assistere all’invasione numerica e rumorosa del nostro centro storico, i veneziani o i fiorentini lo provano sulla loro pelle tutti-i-giorni-dell’anno. Ma così come la ruota della bicicletta lasciava silenziosa e mite la sua traccia sulla mia scarpa, mentre un ragazzo sardo arpeggiava con la sua chitarra chinata supina sulle sue gambe, le scintille di questa mescolanza di mondi alieni erano mute, visibili e, lasciatecelo pensare, innocue. Domani i Buskers finiscono, ricordiamoci di tutto questo quando le nostre scarpe invernali saranno intonse, pulite ma irrimediabilmente bagnate.

Foto di Giulia Paratelli

Prima che precipiti tra noi un’altra estate di persone, occhi, strumenti, colori, ovviamente.

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