Un festival dub, di musica dub e campeggio rasta. Casse enormi, o meglio: pareti di casse enormi, dreadlock e leoni, bamboo e frikkettoni. Arrivo fino a Gambulaga per seguire lo “Zion Station – dub roots and culture festival”, evento che mette le proprie radici nel sottomura estense oramai otto anni fa con il Muzac e per varie ragioni, quattro anni fa si trasforma in Zion e si trasferisce fuori mura e fuori città, nella piccola frazione di Portomaggiore.

Provo a raccontare cosa succede e perché circa 3.500 persone per l’edizione 2013 hanno deciso di passare pomeriggi, serate o anche tutti e quattro i giorni del festival nella splendida cornice dell’agriturismo “Ai due laghi del Verginese”. Provo a raccontarlo rubando lo sguardo alle comparse, alle persone che vivono il festival da spettatori involontari e non paganti.

Inizialmente credevo fosse facile entrare nei bar di Gambulaga per raccogliere le lamentele degli anziani, sapendo che di norma basta chiedere un’opinione per fargli appoggiare lo sguazzone sul tavolo di plastica e partire in quarta. Mi sorprendo nel sentire che questi anziani sono felici di vedere tanti ragazzi divertirsi, e si dicono addirittura dispiaciuti dal fatto che il festival duri così poco. Per sopportare l’eco dei subwoofer nella campagna ovattata la ricetta proposta è “un semplice bianchetto in più, che si dorme pure meglio”. L’anno scorso – raccontano i signori – ci sono pure andati qualche volta ai laghetti, per vedere che succede, la musica non è proprio quella che ascoltavano ai loro tempi e ipotizzano ridendo che a questi ragazzi piaccia “solo perché oramai con questi volumi saranno già tutti sordi”. Saluto e proseguo verso i laghi. Accanto a me sfilano pullman e furgoncini in sosta. Entro e punto diritto verso un tuffo, la giornata è bella e mi prendo un paio d’ore per osservare il tutto dal pontile.

Foto di Fabio Zecchi

Scende la sera e salgono i muri dei bassi. Mi ritrovo a chiacchierare con i volontari di Voghiera Soccorso, vestiti d’arancione, che resistono imperturbabili e immobili alla ritmica della musica. Per alcuni di loro non è il primo anno qui e rispetto a molti altri eventi anche più blasonati ci vengono volentieri “qualche eccesso c’è ovviamente come ovunque, ma sinceramente è tutto organizzatissimo e molto più pulito rispetto ad esempio al Music Park, mai una bottiglia per terra”. Confessano quasi vergognandosene: “l’anno scorso ci siamo addirittura divertiti”. La responsabile delle ambulanze mi racconta commossa che i ragazzi del festival l’hanno prenotata ben cinque mesi prima “quasi tutti gli altri, se va bene, mi avvisano con una settimana d’anticipo e giusto quando gli ricordano che la presenza dei mezzi di soccorso è obbligatoria”.

Succede qualcosa di strano. Mi rendo conto che non mi interessa più di tanto quanto si divertano i partecipanti, quale sia il numero delle presenze o come facciano i ragazzi a resistere ore fissando le casse a venti centimetri. Non mi interessa la musica che è il cuore di questo raduno ma il fatto che il tutto sia preparato con una professionalità che si immagina agli antipodi rispetto ai luoghi comuni che circondano questa cultura musicale. Mi interessa come gli organizzatori siano riusciti a farsi ben volere da chi solitamente si lamenta del caldo in estate e del freddo in inverno.

Domando a Yorg, un ragazzo del coordinamento,come siano riusciti a farsi concedere l’utilizzo dell’agriturismo, struttura ben gestite e molto curata. I proprietari sono forse amanti della dub? Mi risponde che “no, la concessione non è certo arrivata perché amano questa musica. È arrivata perché i proprietari sono persone aperte ad iniziative che siano in grado di coinvolgere i giovani. Ovviamente hanno anche un ritorno economico dal festival, ma a molti non hanno concesso i loro spazi. Noi ci siamo presentati con un progetto, serietà e molta esperienza nel gestire eventi simili, questo ci ha permesso di avere da subito la loro fiducia”. Yorg continua elencandomi i permessi e le autorizzazioni fornite ai vari enti, dalla valutazione sull’impatto acustico e ambientale alla certificazione degli impianti, dalla messa in regola dei collaboratori ai vari incontri con forze dell’ordine e autorità sino al patrocinio della Provincia di Ferrara e l’appoggio dei Comuni di Ferrara e Portomaggiore e le collaborazioni avviate con Hera e Unife.

La promozione dello Zion è stata fatta a livello locale, nazionale, ma anche guardando all’estero: l’iniziativa ha portato a Gambulaga ragazzi dall’Inghilterra e dalla Francia, dalla Svezia e dalla Slovenia. Gli organizzatori hanno voluto un festival attento al tema del riciclo, dai bicchieri biodegradabili con cauzione ai materiali naturali con cui un collettivo di Firenze, i No Dump-ers, hanno realizzano strutture che rimarranno negli anni e per le prossime edizioni. Hanno migliorato di anno in anno il servizio di navetta gratuita affiancato da carpooling e carsharing.

Le cose che scopro sono semplici ma tutt’altro che scontate. Una volta di più mi accorgo di quanto oggi, a far muovere energie e persone sul nostro territorio, siano sempre più spesso associazioni, come in questo caso il circolo Arci Bolognesi. Le associazioni realizzano progetti che ottengono facilmente il logo dei vari patrocini sulle locandine, ma raramente un riconoscimento concreto per la professionalità impiegata. Vengono frequentemente considerate come gruppi di ragazzi accomunati da un hobby, anche quando i loro soci ragazzi più non sono e ragionare in termini di hobby è palesemente riduttivo. Queste associazioni, che generano indotto economico e crescita sociale, sono probabilmente la cosa migliore che mi capita di incontrare a Ferrara.

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