Come si fa a pubblicare un libro? O hai culo. O sganci soldi. Il fenomeno case editrici a pagamento (di livello medio basso) ha purtroppo preso piede. Oppure vinci un concorso. Come ha fatto Alberto Amorelli.

“La sfida è stata scrivere un fantasy in 30 cartelle” dice. Siamo in Sala Agnelli, ex cappella universitaria e oggi sala conferenze della Biblioteca Ariostea. La copertina de “Il migliore” attira subito gli occhi. Chi ha almeno un Tolkien in casa non potrà non pensare a quelle ore passate da adolescente a ricopiare la mappa della Terra della Mezzo con la sua Contea o le Montagne Nebbiose. La cartina l’ha buttata giù Alberto con la tavoletta grafica (“un orrore” dice) poi Simone Corli l’ha ridisegnata per bene. Il protagonista dell’ultimo libro di Alberto è sgradevole come pochi. Uccide, ruba, sfrutta. “Avrei voluto farlo più cattivo“ dice “poi la parte buona ha preso il sopravvento”.

La febbre del fantasy è esplosa dopo la trilogia al cinema del Signore degli anelli. E le librerie sono state invase da cavalieri con nomi presi in prestito dalla filologia germanica, da dame del drago, da torri, pozzi e regni tra le rocce. Il fantasy è un genere ben preciso. L’avventura occupa più spazio dell’approfondimento psicologico dei personaggi. Ecco perché non piace a tutti. E continua a pesare il cliché di un genere adatto solo ai ragazzi. Per molti dei libri in circolazione non si può negare. Ma è bene ricordare come il fantasy sia figlio di una mitologia molto antica. Le fate, i viaggi nel mondo che non c’è, le imprese dei cavalieri e gli animali antropomorfi sono motivi leggendari che popolano i romanzi celtici e bretoni, i lais di Maria di Francia del XII secolo, le avventure cortesi dei trovatori. Per non dimenticare Omero e la sua Odissea. Antenati illustri. Ne parliamo con Alberto.

“Dopo J.R.R. Tolkien il fantasy ha ancora qualcosa da dire?”

“Certo, ci mancherebbe. Lui è stato il capostipite. A dire il vero Tolkien è stato il capostipite dell’epic fantasy mentre Robert Howard ha gettato le basi dell’heroic fantasy. E’ il genere molto made in Usa dell’eroe tutto muscoli che combatte e vince sempre. Come Conan il barbaro. Un tipico prodotto della cultura del self made man americano. Nell’epic fantasy, invece, l’eroe è tutto tranne eroico. Insomma, non sa fare niente. Eccetto una cosa. Che si rivelerà decisiva prima della fine dell’avventura”.

Foto di Luca D’Andria

“Per come lo vedo io il fantasy è un genere dalle regole talmente rigide che non ha più molto da dire. Il tuo libro è puro fantasy o c’è dell’altro?”

“Tutti i romanzi di genere servono anche per dire qualcos’altro. Ora il fantasy si sta molto contaminando. Prendiamo George Martin: con il suo Trono di spade ha fatto piazza pulita di tutto il repertorio classico. Stragi, trucidamenti, omicidi. Questa è la buona strada. La contaminazione ci salverà. Inventare cose nuove è impossibile. Svecchiare le basi non è facile, ci sono degli stilemi rigidi. Si può però tentare di attualizzarle. Inserire i temi caldi di oggi. Come fece Tolkien all’epoca. Tra draghi, mostri e mezz’uomini c’è spazio per la critica all’industrializzazione selvaggia e i riferimenti alle due guerre mondiali non mancano di certo”.

 “Cos’è il fantasy per te?”

“E’ un genere di svago, mi rilassa fin da bambino. Mi affascina la possibilità di un mondo che non esiste. Un mondo che puoi visitare quando vuoi, come una seconda casa al mare. Molti pensano che sia facile scrivere un (buon) fantasy, tanto ci metti la magia e funziona tutto. Non è proprio così. Se devo creare un mondo che non esiste devo dargli delle regole. Tutto deve tornare nel fantasy. Deve esserci un funzionamento che sia verosimile. I lettori son sempre più esigenti”.

 “Come è nato Il migliore?”

“Ho partecipato a un concorso della casa editrice Antipodes l’anno scorso. La parte difficile è stata rimanere entro le trenta cartelle. Ho vinto per la migliore ambientazione, che poi è la cosa che avevo curato meno. Non ci sono boschi incantati e foreste stregate ma un deserto, una città fortificata e una scogliera. L’idea è nata da un’ispirazione musicale, The Nomade degli Iron Maiden. E da L’ultimo cavaliere di Stephen King”.

 “L’Italia è un paese dove tutti scrivono e nessuno legge mentre la società ideale si basa sull’esatto opposto. Com’è la situazione della letteratura a Ferrara?”

“Come ovunque. Tanti scrivono e pochi leggono. Però ultimamente sta sfornando un po’ di sorprese. Solo ci vorrebbe più riciclo. I giovani non sono mai alla testa”.

“Cosa consigli a chi vuole scrivere e pubblicare un romanzo fantasy?”

“Ho sempre in mente il motto provocatorio di Bukoswky “Don’t Try” riferendosi agli aspiranti scrittori e poeti. E io dico sempre perché no, perché non provare? Certo prima di scrivere bisogna leggere. E non solo fantasy”.

Il vero scrittore non è quello sempre chino al computer a scrivere, ma quello che, in sala d’aspetto dal medico, tira fuori un libro. E scrivere bene non è (solo) un dono divino. Il talento naturale esiste ma non è sufficiente. La scrittura è esercizio, è impegno. La scrittura è un lavoro. Sartre diceva che l’ispirazione consiste nell’avvicinare la sedia al tavolo. Come diceva Bukowsky don’t do it, don’t try.

“Qualcuno mi chiese: Cosa fai? Come scrivi, come crei? Non lo fai, gli dissi. Non provi”

Charles Bukowski

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