1794. Parigi ha solo notti senza luna. Marat, Robespierre e Saint-Just sono morti, ma c’è chi giura di averli visti all’ospedale di Bicêtre. Un uomo in maschera si aggira sui tetti: è l’Ammazzaincredibili, eroe dei quartieri popolari, difensore della plebe rivoluzionaria, ieri temuta e oggi umiliata, schiacciata da un nuovo potere. Dicono che sia un italiano. Ecco una riscossa degna della cultura italiana, ma senza prendersi troppo sul serio, non nella finzione almeno, meglio vis-à-vis. In questo incipit di capitolo de L’armata dei sonnambuli (Einaudi Stile Libero), la recente fatica letteraria di Wu Ming, è introdotto un eroe tutto nostrano: Leonida Modonesi, ispirato realmente all’attore ferrarese Leo Mantovani e detto “Scaramouche”, travestimento compreso. Il cialtrone, che fantastica sulla sua discendenza goldoniana, è un incrocio tra il Batman di Frank Miller e il Guy Fawkes shakespeariano di V per Vendetta. Dunque il collettivo ha scelto una voce singolare con significato plurale, un ghigno alla faccia di una società che pretende l’etichetta su ogni cosa, individui compresi. Ma a differenza del vendicatore anglofono, non è fissato tanto con le “v”, quanto con le “r”, doppie, triple, che lo fanno tutt’altro che francese. E l’impavido Modoné imbraccia lo “Spirito di Marat”, un randello con cui punisce gli avversari superomistici: lo spirito dei tre grandi numi mortali della Revolution deve assolutamente sopravvivere nelle intenzioni della gente, degli oppressi, come fu per la scomparsa indigeribile di Lenin e di innumerevoli altri. Tale è la religiosità della scrittura che Giorgio Bassani coltivava proprio qui, la volontà ineffabile di trasformare un’idea in azione tangibile e universale.

Chi non sono. L’incontro alla Feltrinelli di una settimana esatta fa è cominciato con Girolamo De Michele che ha steso la bandiera bianca e rossa dei NoTav tra le due poltrone: la sua e quella dell’ospite, uno dei Wu Ming, come fossero insieme manifestanti in azione, specialmente in mezzo ai libri e alle persone. «Una bandiera che non è qui per caso», ha sostenuto il presentatore, siccome il collettivo più coerente del Paese difende chi vive la Val di Susa e si oppone all’alta velocità verso Lione, forando i monti. Qualche giorno fa, inoltre, ha avuto inizio il processo contro Erri De Luca e Wu Ming è con lui: partecipe e complice si è dimostrato durante gli spostamenti, solidale con l’appello redatto a favore dello scrittore partenopeo. Il collettivo vive la cultura per allargare gli orizzonti e non teme che ne colpiscano uno per educarne cento: «Non ci faremo spaventare dalle minacce contro Erri De Luca, che non si è rimangiato una parola».

Foto di Matteo Bianchi

Attivi dalla fine del XX secolo, col nome “Luther Blissett” hanno pubblicato il famigerato Q (Einaudi Stile Libero), poi una serie di altri titoli a crescere focalizzati sulla rivoluzione in tutte le sue forme e misure. Chi volesse seguirli giornalmente, li troverebbe sempre qui: http://www.wumingfoundation.com/giap/. Per quanto il successo stimoli l’individuo a riconoscersi allo specchio e ad avanzare da solo tra la folla, i suoi componenti persistono nel rifiutare foto e, sopra a tutto, i loro nomi. Scrivono per la collettività e il senso comune della loro azione (concreta!) prevarica la necessità di sentirsi realizzati, oppure stanno meglio in compagnia, piuttosto che rischiare una sterile solitudine. Wu Ming ha rifiutato la violenza, anche intellettuale, ma crede fermamente nel pensiero rivoluzionario.

Madama Ghigliottina. La Rivoluzione Francese è stata la climax dello stravolgimento sociale: l’eliminazione fisica delle pedine dell’Ancien Régime, il loro scalpo coronato ha tolto per qualche lustro il sangue blu dalle vene della Storia. I romanzi del collettivo hanno da e per principio un impiego, non polemizzano e basta contro il Renzi o il Grillo di turno, e possiedono un’etica della scrittura, cioè vagliano una direzione tematica non domandandosi se andrà di moda appena l’opera sarà conclusa. L’armata dei sonnambuli, dedicato al caro Stefano Tassinari che condivideva con loro la rivista “Letteraria”, è nato da un’idea di cinque anni fa, quando Giacobini e Marxisti erano lasciati di proposito nel cassetto dai media. Eppure stringiamo tra le mani una storia che, nell’inattualità di una scelta oramai passata, si verifica attualissima. A tratti perfino profetica.

I generi che compongono l’accurata essenza del volume sono vari, dalla narrativa storica al saggio, dal reportage al pamphlet chiassoso, passando per atti giudiziari, carnevaleschi, poesie e la potenza dell’opera lirica, magari wagneriana, poiché i personaggi necessitano di un’elevazione da palcoscenico, dei chiaroscuri del dramma e della spinta di un’aria. Senza sipario, però, dietro al quale celarsi. Il protagonista è la vox populi nel frangente che intercorre tra Terrore e Termidoro, resa tramite una batteria di punti di vista, tutti rigorosamente umili. E questo riecheggia non tanto l’Hugo di ’93, quanto quello dei Miserabili: stilisticamente agli antipodi, coloro che si sono scoperti degni di miseria cristiana, incapaci di appoggiare e addirittura concepire il Male, hanno diritto di parlare. Wu Ming, tuttavia, non ammicca alla citazione erudita, non ama indirizzare il lettore, anzi, preferisce buttarlo nella mischia e che si muova e si ritrovi come sente, talmente da non permettergli di concentrarsi che nel mentre, mantenendo alta l’attenzione e non correndo tra le pagine a ipotizzare il finale. Pure la mostra biografica di Henri Matisse a Palazzo dei Diamanti, a breve in chiusura, ha la medesima capacità d’immersione, immagine dopo immagine.

Manzoni, il nonno di tutti noi, è retrocesso dall’italiano ottocentesco al Seicento per mezzo di ricerca, ricostruzione e creatività; non poteva certo scrivere in un linguaggio che nemmeno esisteva, alla maniera di Wu Ming. Tanto è vero che la parlata dei Sans-Cullotes, degli abitanti dei sobborghi parigini del ’94 è stata improntata per passione e perizia di studi: per rendere il gergo radicale e borghigiano, si sono rifatti agli esemplari sopravvissuti del giornale di Hébert, recuperandone lessico, fraseggio e modi di dire. Parlez vous san-culottes? Beh, di sicuro hanno provato ad adattare il nostro italiano all’allora francese: «Bisognava scandagliare la lingua perché fosse una figata una volta scritta – ha affermato l’autore – e per riuscirci siamo andati ad attingere alle viscere delle nostre, sino a primordi». Hanno così risciacquato i panni sia nel Reno sia nel Po di Volano, proponendo ai lettori sfumature dal bolognese e dal ferrarese. E il motivo sta alla radice, essendo la nostra una lingua assai ibridata, celtica di sostrato, quindi parente della francese: «Ci siamo sentiti legittimati a usarle, perché sono cugine di quelle d’Oltralpe», e più si sfiorano i confini, più risuona la fraternité culturelle, arrivando a trasmetterne i sentimenti. In parallelola cadenza del tedesco è sta riprodotta attraverso gli errori di pronuncia, la cattiva pronuncia con cui un italiano (francesizzato) potrebbe sbeffeggiare un deutsch e, seppure parodico, non fa ridere, trattandosi di amaro squadrismo fascista.

Il rock progressive degli anni ’70 risuona felicemente tra le righe e la musica scorre tra i diversi generi sullo sfondo, dalla classica al blues, fino a sfociare nel rap del momento: «Siamo anche una rock band – ha commentato l’autore – che non suona per divertissement dello scrittore, ma deborda naturalmente dall’inchiostro agli strumenti, dalla metrica del libro alla partitura del pentagramma. Essendo un gruppo, in fase di redazione leggiamo ad alta voce i nostri testi, rendendoli ritmati e adattabili a suite improvvisate». Difatti alcune parti del romanzo sono state scritte in rima e assonanza, sporcando settenari ed endecasillabi nell’eliminazione degli accapo. Metri di poesia dentro la prosa cosicché la forma evidenzi il contenuto, ricalcandolo o respingendolo: «Anche quando non te ne accorgi, la lirica è sublimazione e ti entra dentro libera – ha concluso il Wu Ming – non ti accorgi che ci siano rime finché non le senti uscire dalla bocca». Perciò la membrana tra sperimentazione musicale e letteraria viene bucata di continuo con una contaminazione totale; persino il nostro “Scaramouche” nazionale – tra la miriade di possibili maschere – mi riporta alla Bohemian Rhapsody dei Queen (e mai a caso).

 

…vi piace la paura? Io preferisco il Terrore
perché l’Uguaglianza terrorizza l’oppressore.
Volete Gesù Cristo senza Apocalisse,
volete amare il prossimo purché non vi disturbi,
volete rivoluzione senza rivoluzione,
ossimori a quintali per non ingrassare!
Cura Robespierre, cura Robespierre!
Per i moderati cura Robespierre!
Cura Robespierre, cura Robespierre!
Per questi tempi idioti cura Robespierre!

[dal Ep Biscop, Wu Ming Contingent]

 

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