Questa città a volte fa incontrare persone che mai avresti immaginato. Credo infatti ci sia un invisibile filo rosso che ci collega, a volte inaspettatamente. È accaduto così anche con Yoon, conosciuto l’altro giorno grazie ad un’amica che lo ospita per la sua breve permanenza a Ferrara.

Yoon C. Joyce, classe 1975, si diletta da sempre con i pennelli e ultimamente costruisce piccoli Alien con viti e bulloni. Ma c’è di più. Nato nel Sud Corea, ancora in fasce è stato adottato da una famiglia bergamasca e dalla sua Bergamo gira il mondo per il suo lavoro. Yoon infatti fa l’attore, e da ruoli da caratterista come il mafioso o il criminale cinese, da Pieraccioni a Scorsese, nel 2014 ha lavorato anche con il signor Ridley Scott in persona. Strani casi, la vita! Sul cellulare di Yoon, accanto alle foto dei suoi piccoli Alien, passano le foto fatte insieme al grande Maestro del cinema che inventò questi fantastici mostri predatori.

È sabato pomeriggio e tra qualche ora le opere di Yoon saranno visibili al pubblico insieme ai lavori di molti altri artisti presenti al Ferrara Art Festival, presso il Palazzo della Racchetta. Yoon non è mai stato a Ferrara, perciò vado a prenderlo a casa di Maurizia Farinelli e lo porto in giro per la città.

«Yoon, sei curioso di vedere un po’ di Ferrara?».

«Non vedo l’ora, mi sembra una città incredibile! Ci sono tutte queste biciclette, non ne ho mai viste così tante tutte insieme. A proposito, tu te la porti dietro quella?». Yoon indica la mia bici.

«Certo! Qui non si esce mai senza bici. E ora lo vedrai coi tuoi occhi. Ti porto da Bida, nel cuore della città e nel mentre ti faccio fare un po’ di viuzze tipiche ferraresi, ti va?».

A Yoon va eccome. Così, giù per ciottoli e stradine strette, arriviamo in via XX Settembre, tagliamo giù per Porta d’Amore e Carlo Mayr, passiamo davanti alla chiesa di Santa Maria in Vado, arriviamo in via Saraceno. Yoon è subito sbalordito dal vuoto che regna la città lungo tutte le vie fatte. È vero. C’è caldissimo e non incontriamo quasi nessuno lungo tutto il tragitto. «Aspetta di arrivare in Mazzini – gli dico -, poi ne riparliamo». Infatti sbuchiamo finalmente in via Mazzini ed è pienissima di bambini col gelato, di nonnini in bicicletta, di ragazze che guardano le vetrine e di turisti, molti turisti. Yoon ne è affascinato, guarda tutto, osserva le persone che gli passano di fianco.

Ci sediamo per un caffè e due chiacchiere. «Ferrara non la conoscevo proprio, non c’ero mai stato prima. Però mi sembra molto bella, anche la gente che c’è, mi sembra bella», mi dice Yoon appena seduto al bar. È il suo gallerista Virgilio Patarini che l’ha portato qui. Virgilio, oltre ad essere un artista, è ora il curatore del Ferrara Art Festival al palazzo della Racchetta, che fino ad ottobre ospiterà varie mostre, spettacoli e concerti.

Che rapporto hai con il tuo curatore Virgilio Patarini?

Virgilio a me piace moltissimo, perché ha un modo di fare e di essere che mi han colpito subito, fin da quando lo conobbi anni fa a una fiera di Milano. Lui ha un certo gusto per l’arte contemporanea e con lui ho già fatto un’esposizione lo scorso novembre a Venezia. È questione di chimica con le persone, e con lui ho sentito subito un legame. Lui non è di Ferrara, ma da qualche anno lavora qui e ora ci vive anche. La vita è strana e ha dei collegamenti incredibili. Più di dieci anni fa ho conosciuto Eugenio Squarcia, anche se al tempo era molto giovane mi aveva colpito subito, perché aveva un’aria molto curiosa. Ricordavo che abitasse a Ferrara, e questa mostra organizzata da Virgilio ci ha fatto rincontrare. Io e Eugenio ieri sera abbiamo parlato molto di questo. È bello vedere le persone dopo anni, vederne i cambiamenti. Ti fa sempre comunque riflettere. E penso che se non fosse stato per Virgilio non l’avrei rincontrato in un momento, guarda caso, di confusione della mia vita.

Foto di Simone Dovigo

Perché confusione?

Perché sono arrivato a un punto. La mia vita è un casino… Sono sempre in movimento. All’inizio di quest’anno ho girato un film, poi sono andato a 3500 metri di altezza per le riprese di un altro film sulle Dolomiti con l’attore Jake Gyllenhaal. Il termometro segnava – 13 gradi. Subito dopo sono sceso dalle montagne e ho preso la valigia per andare in Vietnam, per un altro film. Ho avuto la brillante idea di dire “un maglioncino me lo porto, non si sa mai”. Il bello è che là c’erano 36 gradi, un’afa che non puoi capire. Là ci sono 20 milioni di abitanti e girano tutti con lo scooter, è una roba incredibile! Poi sono tornato a Roma per girare una serie, a Torino per un’altra serie e poi di nuovo a Roma dove ho finito di girare un film. Poi ho fatto un provino a Milano, sono partito per la Turchia, sono tornato a Milano per uno spot e poi ho finito le mie sculture e sono venuto qui.

Caspita. E con tutti questi viaggi, come fai ad avere tempo anche per le tue creazioni?

Mi ritaglio i miei tempi. Spesso mi prendo anche una mezzoretta per riposare nel pomeriggio. Secondo me la gente sbaglia. La vita è diventata troppo frenetica, sotto certi aspetti è diventata cinica. Viviamo costantemente nell’ottica del “dentro un altro, show must go on”. Secondo me ognuno di noi deve riuscire a capire qual è il modo di vivere migliore per sé, e non seguire il gregge. Se si segue il branco sembra che ci sia più sicurezza. Ma se il branco va verso il burrone, che sicurezza si ha? Si ha la sicurezza di andare giù in un burrone!

Come è la tua vita di attore?

Per me, la cosa più bella di essere attore è che hai la possibilità di viaggiare sempre. Questo non mi annoia mai. Se sto troppo in un posto io sto male. Invece vedere posti diversi e gente differente mi arricchisce ogni volta.

Spesso mi chiedo come vivano le persone. Quando la gente si fermerà e si renderà conto di aver dato il proprio tempo in mano ai rispettivi capi, che succederà? Il tempo che gli dai fa parte della tua anima, mentre loro non ti avranno dato nulla indietro, se non uno stipendio. Conosco persone che hanno lavorato per quindici anni, poi di colpo perdono il loro ruolo e vanno in depressione. Sono smarrite e vanno in depressione per il lavoro, ti rendi conto? Ci hanno fatto il lavaggio del cervello. Penso sempre più spesso che siamo schiavi di un sistema alla Matrix, che è la forma di schiavismo più grande proprio perché è invisibile. Credo che questa sia la dittatura più forte. La gente arriva a casa stanca e non ha tempo per se stessa, per chiedersi il perché delle cose e della vita.

So che dipingi. In realtà al palazzo della Racchetta non saranno esposte delle tue tele, bensì dei piccoli modelli di Alien, fatti con bulloni, fil di ferro e viti. Come è nata la tua passione per l’arte?

Ho sempre avuto un’indole creativa, pensa che da piccolo facevo dei robot coi pacchetti delle sigarette. Poi, nonostante io abbia fatto le superiori come geometra, ho continuato a dipingere. Oltre a recitare. Il mio primo film risale a quando avevo 16 anni. Comunque, questa volta, dopo essere tornato da tutti i viaggi di lavoro, non avevo voglia di preparare le tele per dipingere. Sul tavolo di casa avevo lasciato dei bulloni e delle viti. Le ho guardate e ho pensato “Adesso provo a saldarle insieme e vediamo cosa viene fuori”. Così mi ci sono messo. Ho provato prima con la saldatura a stagno, ma non veniva fuori un bel risultato. Così ho incollato i bulloni alle viti con resine per incollare metalli e lentamente ho costruito delle statuine. All’inizio erano delle stronzatine, eh! Poi però ho visto in camera il dvd di Alien e ho pensato: “Oh! Questo sì che è bello da costruire!”. Il problema maggiore l’ho avuto con la testa. “Come la faccio?”, mi chiedevo. Vado dal ferramenta e addirittura in un negozio di lampadine per trovare una soluzione, ma niente. Torno a casa, sconfortato, mi faccio un caffè e metto un cucchiaino di zucchero, mentre penso a una soluzione. Giro il caffè, inizio a guardare il cucchiaino…ho fatto proprio così, mi sono avvicinato, l’ho fissato. “Ecco, questo potrebbe essere!”. Ed è nata così la testa dell’Alien, con un semplice cucchiaino da caffè.

La rivalsa del geometra che è in te…

Gli anni delle superiori sono stati i peggiori della mia vita. Io volevo fare la scuola d’arte, o l’accademia, ma mio padre mi ripeteva “l’arte è per i visionari” così sono finito a fare l’istituto per geometri. E si ritorna al discorso di prima. La società monetizza tutto e io, per valere e per far girare l’economia, devo monetizzare. Purtroppo mio padre è l’espressione per eccellenza di questo tipo di pensiero. Dal momento in cui io porto a casa i soldi allora diventa un lavoro degno. Se penso a quello dell’attore, il mio non è un lavoro. È la mia vita.

È ora di accompagnare Yoon all’inaugurazione della sua e delle altre mostre presenti al palazzo della Racchetta. Lì troviamo il curatore dell’iniziativa Virgilio Patarini.

«Virgilio, io ancora non ho inquadrato questi ferraresi… Secondo te, che differenza c’è tra un milanese e un ferrarese?».

«Sono entrambi sbruffoni, ma in modo molto diverso. Se il milanese lo è per eccellenza, il ferrarese è più un Capitan Fracassa, un Astolfo che vuole andare sulla luna, ma che si perde nel capire come arrivarci. Ecco, Yoon, il ferrarese è un sognatore. Uno di quelli che si racconta delle storie e che a forza di raccontarsele finisce per crederci. Penso che questo sia anche il loro bello».

D’altronde, come dice il papà di Yoon, l’arte è per i sognatori.

2 Commenti

  1. felici di aver chiacchierato e conosciuto Yoon ^_^

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