“Tutto è incominciato nel “rifugio bianco ed imponente di questa ex fabbrica di spazzole. Li mi si è rivelato un mondo, ho toccato con mano il coraggio, la tenacia, la fede in un futuro migliore. Ma anche la sofferenza e l’impotenza di fronte a situazioni che difficilmente possono essere cambiate dal basso. Ho conosciuto “Giornalisti Giornalisti”, come diceva Siani. Giornalisti che non si definiscono tali, bensì “combattenti”. La loro arma è la penna, la china, il computer, la telecamera, la macchina fotografica. Patimenti indicibili, che possono essere solamente letti negli occhi, nelle cicatrici, nelle insicurezze di chi li ha vissuti.”

E’ un sabato mattina di fine maggio e anche se il mio lavoro di insegnante per quest’anno si è concluso, ancora una volta trovo l’occasione per metter piede in una scuola. L’occasione me la dà Lisa Viola Rossi, dal cui blog ho tratto queste parole.

Lisa è ferrarese, classe 1985, da sempre impegnata in ambito giornalistico, quello italiano che lei definisce “precario e perverso”. Dopo anni di gavetta e di studi universitari decide di partire per la Francia e offrendosi come stagista entra nella Maison des Journalistes a Parigi. Luogo simbolo della libertà di espressione, nasce nel 2002 a Bobigny dall’idea di due giornalisti francesi Danièle Ohayon e Philippe Spinau, con lo scopo di accogliere e sostenere giornalisti esiliati da tutto il mondo, offrendo loro un luogo dove vivere per sei mesi. 

Siamo all’Istituto tecnico Copernico-Carpeggiani, più conosciuto in città come ITI, androni enormi, interrotti a tratti solo da larghe colonne di cemento, il grigio ricopre ogni cosa. Per raggiungere l’aula in cui mi aspettano, salgo al primo piano attraverso una scala stretta e cupa e mi ritrovo in un atrio ancor più spazioso nel cui mezzo si trovano un centinaio di sedie tutte ordinatamente disposte e rivolte verso una vecchia cattedra. Un profondo silenzio e la sensazione di stare nell’atrio di una vecchia università di una città di periferia.

Entro nell’aula e scopro con stupore che l’evento è stato pensato e organizzato da Annalisa Casalati, mia collega, che incontrando e accogliendo una proposta di Lisa Viola Rossi, sua compaesana nonché ora responsabile della comunicazione della Maison, decide di proporre un incontro tra studenti dell’istituto e alcuni giornalisti accolti nella casa, attraverso l’utilizzo di Skype.

Lisa, così come i due giornalisti che incontreremo, la vediamo dalla webcam, il collegamento è attivo su “Renvoyé spécial MDJ”.

Renvoyé spécial (un gioco di parole tra inviato speciale e respinto) è un programma di sensibilizzazione alla libertà di espressione e all’importanza del pluralismo dell’informazione che, dal 2006, porta giornalisti esiliati nelle scuole francesi. Un’opportunità per gli studenti per cercare di comprendere l’importanza della libertà di stampa attraverso la testimonianza diretta di giornalisti che provengono da paesi in cui il diritto di informazione è seriamente minacciato.

Renvoyé spécial espatria per questa occasione e arriva a Ferrara grazie alla volontà degli insegnanti Annalisa Casalati e Sergio Golinelli e dal Dirigente dell’ITI Copernico-Carpeggiani Roberto Giovannetti. A supporto per la traduzione arabo-italiano-arabo un ragazzo siriano, dottorando presso l’Università di Bologna, Muauia Alabdulmaged e alcuni studenti dell’Istituto e dell’Ariosto, Taha Idriss Guenboura e Rania Guenboura.

Dopo i primi aggiustamenti tecnici audio-video, finalmente incontriamo due dei 273 giornalisti accolti nella casa in questi oltre dieci anni di attività, Iyad El Abdallah e Soulafa Lababidi, entrambi siriani. Dalla sua nascita ad ora la Maison rimane l’unica struttura al mondo ad ospitare giornalisti in esilio. Ne ha accolti 273 provenienti da 55 paesi del mondo.

Iyad, professore di filosofia, giornalista e attivista a Raqqa, a causa della repressione politica ha dovuto lasciare il paese, dopo essere stato arrestato e torturato, così come molti altri intellettuali dell’opposizione al regime.

Soulafa, presentatrice e conduttrice radio, nonché militante per i diritti umani e volontaria in aiuto ai profughi siriani in Libano. Arrestata, è riuscita a scappare in Libano e poi ad arrivare in Francia. Ora lavora in una radio francese, ma è purtroppo uno dei pochi casi in cui i giornalisti esiliati riescono a riprendere a scrivere e documentare attraverso il giornalismo. Nella maggior parte delle volte trovano occupazione in altri campi, per esempio come panettieri.

Iyad e Soulafa sono accomunati dalla tenacia con la quale portano avanti la loro battaglia per un’informazione libera, anche lontano da casa, una battaglia che non dovrebbe essere solo loro, ma di tutti.

Potranno essere ospiti della Maison per sei mesi, così come tutti gli altri giornalisti accolti. Sei mesi perché dovrebbero corrispondere al periodo necessario (a volte però non sufficiente) per ottenere lo status di rifugiato politico. Vivere nella Casa dei Giornalisti libera in modo significativo di alcuni problemi e incombenze, tipici dei primi momenti in cui ci si trova a vivere in un paese che non è il tuo. L’alloggio, la lingua, le procedure burocratiche, i permessi, rappresentano complessità spesso difficilmente affrontabili da chi arriva senza niente scappando dal proprio paese.

Foto di Francesca Mascellani e Maison du Journalistes

I ragazzi dell’Istituto così come previsto dal programma Renvoyé Special sono stati preparati in modo da poter orientarsi il più possibile nel mosaico siriano e porre le loro domande ai due giornalisti esiliati.

In Siria, per almeno due millenni crocevia etnico-linguistico-religioso del vicino oriente, nonché un groviglio  di identità e appartenenze dalla lunga storia, lo strapotere degli Assad controlla il Paese da oltre cinquant’anni. A tre anni da quel 15 marzo del 2011, in cui grandi manifestazioni di protesta fecero tremare il potere di Assad fino a portare allo schieramento dell’esercito e dando così il via al conflitto che ancora oggi miete vittime, la guerra civile della Siria è “Primavera Araba andata a male”. La rivolta di una popolazione rimasta schiacciata dal regime e presa in giro dai ribelli. Il bilancio è di migliaia di civili morti in tutto il Paese, e molti di più sfollati o costretti alla fuga valicando i confini nazionali. Ogni minuto, riporta il Washington Post, tre siriani espatriano cercando di allontanarsi il più possibile dalla guerra, diventando profughi in terra straniera. Tra questi anche molti operatori dell’informazione giornalisti, reporter, fotografi. Intanto, mentre il popolo soffre, la guerra iniziata come un tentativo di rovesciare lo strapotere di Assad si è trasformata in faida tra diverse etnie e interpretazioni della religione islamica. La spaccatura più grande all’interno del Paese è quella tra sunniti, la maggioranza, e alawiti, ramo sciita a cui appartiene il dittatore. Tutto rimasto sotto silenzio o comunque lontano dagli schermi, fino all’estate dello scorso anno, quando un attacco con armi chimiche alle porte di Damasco ha inevitabilmente acceso i riflettori.

C’è libertà da parte dei media di entrare nel territorio siriano?

Il regime ha bloccato ogni accesso al paese, chi riesce ad entrare lo fa a suo rischio e pericolo. I giornalisti sono volutamente tenuti lontani, perché del regime bisogna parlare solo bene.

Tra tutte le reti televisive qual è secondo voi la più vicina a riportare la verità?

Del caso siriano si è giornalisticamente parlato quasi esclusivamente per interesse economico. Per sapere la verità bisogna viverla.

Cosa vi ha spinto a ad andare contro il governo nonostante i rischi che sapevate di correre?

I rischi si conoscevano da trent’anni. La vera domanda è: perché il popolo è rimasto zitto per così tanto tempo? Il popolo si è organizzato senza sapere cosa sarebbe successo dopo. Hanno reagito d’istinto, quel che può succedere dopo non lo si sa mai. Pensavano che il mondo sarebbe stato dalla parte dei siriani e invece ha appoggiato il regime.

 Perché dato che si parla di rivoluzione culturale una parte del paese non ha partecipato?

Come in tutte le rivoluzioni c’è chi è pro regime e chi è contro. C’è chi ha paura del cambiamento, chi si accontenta  di quello che ha, chi  ha forti interessi economici con il regime.

Come sono state viste le donne durante la rivoluzione?

Le donne siriane hanno sempre svolto un ruolo importante anche durante le rivolte. Malgrado fossero poco istruite hanno sempre partecipato attivamente alle proteste pacifiche, sono scese in piazza a manifestare,  anche nelle zone più conservatrici, sono state fondamentali negli aiuti umanitari. Non si sa quante donne siano state arrestate.

La vostra prospettiva è di ritornare in Siria?

Il Paese appare tristemente destinato a concludere la sua guerra nell’ombra più totale. La situazione è disastrosa e pare continui a peggiorare, sprofondando in un lungo inverno che gelerà ogni bocciolo di Primavera siriana. Ma un giorno vorremmo tornarci.

Due interessanti esperienze di informazione libera da segnalare a chi è interessato:

“L’oeil de l’exilè”, una vetrina giornalistica in cui gli ospiti della Maison possono riprendere in mano penna, macchina fotografica, telecamera per continuare a raccontare storie e opinioni. Nello “spazio blogsfera” del sito i blog personali dei giornalisti. (www.loeildelexile.org).

“Il Caffè dei Giornalisti”, anche in Italia un luogo di incontro per raccogliere, confrontare e promuovere esperienze di giornalisti nel mondo, con particolare attenzione a chi persegue l’obiettivo di un’informazione libera, specialmente in contesti ostili e svantaggiati. Un’esperienza che nasce a Torino nel 2012, proprio sulla scia dell’esperienza della Maison des journalistes (www.caffedeigiornalisti.it).

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