Capita a Ferrara di uscire di casa con l’intenzione di andare al cinema e di ritrovarsi invece a passare la serata con un ragazzo friulano dall’aria vagamente cowboy, cappello calato in testa e vistosi tatuaggi sulle braccia, nel bicchiere pastis ghiacciato. Il ragazzo si chiama Pietro Nicolaucich, è cresciuto sulle montagne di Tarvisio e sostiene di non avere omonimi, nel mondo condividerebbero lo stesso suo cognome – di origini russe – esclusivamente i parenti stretti. Come già suo nonno e suo padre prima di lui, per anni Pietro ha festeggiato il giorno di San Nicolò indossando la maschera del krampus, demone selvaggio e inquietante, con fattezze caprine, che disturba e spaventa la folla nel giorno della festa. Ha smesso di partecipare a questa tradizione nel momento in cui ha dovuto trasferirsi a Milano, cinque anni fa, con in tasca una laurea in lettere guadagnata sui banchi dell’università patavina. Lì ha iniziato a lavorare per Mtv.

Cosa ci fa Pietro a Ferrara? Presenta le proprie illustrazioni al circolo Zuni. Ma cosa ci faccio io da Zuni, uscita di casa per vedere l’ultimo film di Mazzacurati? A deviare la strada che dal divano conduce alla sala 4 dell’Apollo ci ha pensato la fame e la voglia di assaggiare il tanto celebrato hamburger di chianina cucinato da Irene. Avevo letto dell’inaugurazione della mostra, organizzata in collaborazione col Centro Studi Dante Bighi, ma come spesso accade non avevo memorizzato la data.

L’incontro con le illustrazione di Pietro è (quasi) inaspettato e intenso. Le stampe – diciannove in tutto – sono popolate di stambecchi e balene, capitani e sommergibili, abissi marini, notti stellate, alberi capaci di sostenere tra le chiome case e villaggi. I loro colori sono quelli dell’acqua e della terra; il segno preciso realizza sulla carta apparizioni dalle quali è difficile staccare lo sguardo. Trasportano in un dimensione che si stenta a decifrare, fantastica come la letteratura teorizzata da Todorov: mescolano la forza del dejavù alla grazia della visione onirica, l’elemento sovrannaturale entra nelle composizioni come un piccolo incidente, poco vistoso ma significativo.  Ricordano i sogni che si facevano da bambini, ad occhi chiusi e ad occhi aperti.

Courtesy Pietro Nicolaucich

Il titolo della mostra – curata da Elena Bertelli, Silvia Meneghini e Matteo Andreolini, in parete fino al 5 giugno – è azzeccatissimo: “Maturare verso l’infanzia”.

“La sedia della felicità” passa in secondo piano, al cinema si andrà un altro giorno.

Mi faccio spiegare da Pietro com’è passato dalle redazioni di Mtv alle illustrazioni: «ho sempre disegnato, fin da bambino, perché mi rendevo conto di saperlo fare. Non che credessi di avere un talento, semplicemente vedevo che riuscivo meglio degli altri. Me lo dicevano anche le suore dell’asilo. Probabilmente la passione me l’hanno trasmessa i miei genitori: mio padre costruisce mobili in legno e mia madre li decora, li dipinge. Quando mi sono trasferito a Milano e ho iniziato a lavorare per Mtv ho conosciuto tantissime persone a cui le mie illustrazioni piacevano, così ho deciso di provare a vedere se sarei riuscito a vivere solo di quello. Adesso mi commissionano molti lavori, e quando non sono impegnato in queste commissioni porto avanti i miei progetti. Quando ho un’immagine in mente la devo realizzare, altrimenti non se ne va più via».

Nel suo portfolio ci sono tantissimi nomi importanti: da Audi a Benetton, Sisley e De Agostini – solo per citarne alcuni -. La cifra che contraddistingue ogni sua creazione è la trasposizione dei soggetti in una dimensione fiabesca, innocente.

Pietro mi racconta come mai disegna quello che disegna: «col tempo si cambia, è inevitabile. Lasciamo indietro le cose che ci piacciono perché a un certo punto ci stancano, i musicisti, gli scrittori. Da adolescenti spesso abbiamo dei gusti osceni, crediamo di aver scoperto il mondo leggendo Herman Hesse ma dopo qualche anno lo mandiamo affanculo, non lo leggeremo mai più. Ci interessano cose nuove, ci raffiniamo, non sempre guardando verso l’alto, anche guardando in basso. Talvolta torniamo indietro. L’immaginario che appartiene all’infanzia però non cambia, resta come una monade cristallizzata, i libri per bambini ci emozioneranno sempre, anche quando avremo ottant’anni. Sono bellissimi e sono trasversali, coinvolgono tutti. Io disegno l’unica cosa capace di emozionarmi, disegno quello che vorrei vedere».

Suppongo che l’essere cresciuto in un contesto libero e verde come quello delle Alpi friulane abbia contribuito non poco allo sviluppo della sua creatività, supposizione banale e quasi scontata, confermata immediatamente: «non ho mai avuto un imprinting definitivo, nessun disegnatore di riferimento, il mio immaginario figurativo non dipende da altri illustratori ma dalla montagna. Da piccolo ero nel bosco un giorno sì e quello dopo pure. D’estate costruivo le casette sugli alberi, d’inverno sciavo e andavo con lo slittino».

Se proprio deve rintracciare un’influenza la trova nei cartoni animati della Disney, quelli realizzati tra gli anni Trenta e gli anni Settanta: «dopo la morte di Walt Disney non hanno più fatto niente di decente, la sua scuola non è stata portata aventi. L’ultimo film che salvo è “Il libro della giungla”. Dagli anni Ottanta ad oggi la qualità si è decisamente abbassata».

Prima di salutare Pietro e il suo cappello da cowboy mi tolgo un’ultima curiosità relativa alle sue opere che più di tutte mi hanno colpito, ovvero quelle ambientate nel mare: come si mescolano terra e acqua? Da dove arrivano i palombari e le creature degli abissi marini?

«Questi soggetti arrivano dai libri che leggevo da bambino. Conrad, Stevenson e Melville hanno segnato la mia infanzia senza quasi che me accorgessi. Nelle illustrazioni ho voluto unire due mondi che in realtà sono molto simili, quello della montagna e quello del mare, e con mare non intendo ovviamente quello di chi sta in spiaggia a non fare un cazzo, intendo il mare dei pirati. Fare coesistere queste due dimensioni crea un effetto perturbante. Entrambe appartengono a qualcosa di molto più grande di noi, qualcosa che cerchiamo di contenere ma che non possiamo comprendere, ne subiamo il fascino. Anche i loro animali sono così, basta pensare alle balene. Sono troppo grandi per essere qualcosa di normale, e non c’è modo di capire quanto siano grandi se non andandole a cercare».

1 Commento

  1. Valentina scrive:

    Questo pezzo è meraviglioso. Sono stata col fiato sospeso fino all’ultima parola.
    Complimenti Licia e complimenti a Nicolaucich.
    A prestoooooo

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