ha collaborato Licia Vignotto

Il primo volto che incontro è quello di Dario. E’ uomo, giovane e alto. Difficile rimanergli indifferente.
E’ Dario del Centro di Promozione Sociale La Resistenza, nonché ideatore, insieme ad altri, del progetto “Italiani DOC – di Diverse Origini Culturali” (italianidocferrara.blogspot.com), al quale collaborano diverse altre realtà del ferrarese: oltre al CPS La Resistenza, l’Ass. Cittadini del Mondo, la Coop. Camelot, Libera Ferrara, l’Ufficio Migranti CGIL Ferrara, Arci Ferrara.
Il progetto, presentato per la prima volta quest’anno alla città di Ferrara, intende riportare l’attenzione della collettività sulla “questione migranti”, ripercorrendo, in varie date e con diverse modalità narrative, i disparati punti critici che affliggono le politiche italiane in materia di immigrazione, affrontando inoltre le spinose questioni legate all’interpretazione mediatica del fenomeno migratorio e alle ricadute concrete e spesso sottaciute che esso presenta nel nostro contesto economico e sociale.
Fare informazione tramite incontri, conferenze e pratiche, questo è il loro obiettivo. Dal Glocal Festival (il festival della nuova canzone italiana) alla biciclettata contro il razzismo e lo sfruttamento del 1° marzo, dalla cena iraniana al convegno che mi ha portato a conoscere questi tanti volti dell’accoglienza ferrarese e italiana. E le prossime iniziative in cantiere: il torneo sportivo dell’Associazione Cittadini del Mondo previsto per l’11 maggio e la proiezione dei film a tematica interculturale il 23 maggio.

Il secondo volto che incontro è quello di Rania. E’ donna, giovane, dolce. Difficile rimanerle indifferente.
E’ Rania Guenboura, del Comitato Occhioaimedia (www.occhioaimedia.org) al quale aderiscono associazioni, enti e cittadini ferraresi attivi sui temi dell’intercultura e dell’inclusione e che nasce dal desiderio di affrontare il tema della comunicazione “avvelenata” che spesso genera razzismo e disinformazione.
Si perché c’è davvero molta disinformazione riguardo alle figure e ai termini quando si parla di migrazione e accoglienza. E la confusione indotta dalla disinformazione e dalla manipolazione e strumentalizzazione di dati e termini non fa altro che generare a sua volta una distorta visione di ciò che è la “normalità”. Crea degli eroi e innalza il livello di normalità, ciò che è semplicemente minimo senso civico diventa gesto eroico.
E’ lampante nelle esperienze di Lampedusa e Riace. Perché volere Lampedusa premio Nobel per la Pace? Perché il sindaco di Riace eroe dell’accoglienza calabra? Forse perché ci piace molto dire che una cosa è bella quando non ci tocca da vicino, ma poi in concreto in pochi la seguiamo, la replichiamo.

Il terzo volto che incontro è quello di Paola. E’ donna, avvocato, grintosa e sicura. Difficile rimanerle indifferente.
E’ Paola La Rosa, avvocato palermitano, da dieci anni trasferitasi a Lampedusa dove ha aperto un B&B e dove da anni sostiene i diritti dei migranti, prima con l’associazione Askavusa, ora con il Comitato 3 ottobre.
Abitare a Lampedusa l’ha portata a incontrare tante esperienze, incontri che le hanno cambiato la vita. Con le persone che arrivano dal mare si instaurano delle relazioni autentiche anche se brevi, sempre a perdere. Quando offri un pezzo di ciambella o dai una coperta a qualcuno sai che poi non lo rivedrai mai più, ma cosa puoi fare di fronte a chi ha bisogno? “Quello che possiamo fare lo facciamo” ci dice.
Con il Comitato 3 Ottobre, nato dopo la strage avvenuta nel 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa in cui persero la vita in mare 366 persone, lei e giornalisti, ambientalisti, persone legate al mondo della cooperazione e dell’associazionismo, si sono volute unire per cercare di creare un ponte tra i due mondi separati che esistono in Italia sul  tema dell’immigrazione.
“Da una parte i migranti e chi lavora con loro, dall’altra il resto della cittadinanza. L’unico contatto tra queste due realtà è dato dal mondo dell’informazione, che però riporta solo notizie contingenti e spesso in maniera non pienamente comprensibile. Fondamentalmente queste due realtà non si toccano mai, perché spesso gli “addetti ai lavori” quando parlano con la gente danno per scontato molte cose e il senso del loro intervento non arriva. Usano un linguaggio tecnico, da specialisti. Parlano di “dublinati” e di “escamotage per sfuggire a Dublino” ma non tutti sanno realmente cosa sia il Trattato di Dublino, il Trattato che obbliga il migrante a rimanere nel primo Paese in cui arriva”.
Il comitato vorrebbe che il 3 ottobre diventasse a livello nazionale la “Giornata dell’Accoglienza”, una giornata durante la quale “fare il punto anno dopo anno di ciò che è stato fatto sul tema della migrazione, una giornata in cui valutare il lavoro svolto e progettare il lavoro ancora da fare, una giornata operativa”. “E’ vero che spesso il significato di tante ricorrenze si perde ma può essere importante porsi ogni anno di fronte all’interrogativo: Sarebbe meglio o peggio se la data non ci fosse? Se anche un giorno il problema dovesse scomparire bisognerebbe comunque conservare la memoria di quello che è stato”.

Foto di Alejandro Ventura


Il quarto volto che incontro è quello di Tahar. E’ uomo, scrittore, giornalista. Difficile rimanergli indifferente.
E’ Tahar Lamri, scrittore ravennate di origine algerina che si occupa spesso del tema del viaggio, della parola, delle radici.
L’Italia è una terra solare e varia e quindi necessariamente accogliente. Ma esistono tante Italie e spesso ciascuna si comporta in modo differente con lo straniero. Spesso si cede a infondate paure e si rinnega la secolare tradizione di accoglienza che ha contraddistinto il nostro paese.
Dobbiamo ricordarci che eravamo stranieri e che grazie a questo siamo portati a chiederci chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare.
Abbiamo convenzioni e norme, alle quali abbiamo aderito o che addirittura abbiamo scritto noi, dalla Convenzione di Ginevra, alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo fino alla nostra Costituzione, che ci ricordano che il nostro popolo è un popolo accogliente, che non perseguita ma include, e che libertà è anche essere liberi di andare altrove e trovare in questo altrove una nuova casa. 

Il quinto volto che incontro è quello di Domenico. E’ uomo, sindaco e umilmente accogliente. Difficile rimanergli indifferente.
E’ Domenico Lucano, sindaco di Riace, piccolo comune della provincia di Reggio Calabria. Ha saputo cogliere, in primis come uomo, ma anche come politico ed amministratore, le reciproche opportunità che sarebbero potute nascere dall’arrivo di immigrati. “Molti non hanno intenzione di restare in Italia ma migliorare gli strumenti di  integrazione di quelli che restano è un interesse sia nostro che loro” ci dice. Quando si parla di migrazione si tende sempre a parlare di “contrasto alle migrazioni” e mai di “governo delle migrazioni”. Si parla solo di tutela del nostro benessere, di sicurezza, di respingimenti, di nemico che è l’altro, il diverso. Ecco, lui nella sua umiltà e semplicità annientanti, ha saputo governare, e bene, un fenomeno che è ormai all’ordine del giorno. La sua esperienza ci racconta che l’unica arma che abbiamo è quella di non considerare gli stranieri come una categoria, perché non lo sono, ma come delle persone.
“Chi non vede gli altri uguali a sé ha un disturbo del comportamento!” ci dice in modo ironico. Ha organizzato l’accoglienza in modo assolutamente spontaneo, con poche forze, con l’aiuto di conoscenti e cittadini e poi piano piano aiutato da organizzazioni e ministero.
Il paese è rinato nel giro di pochi anni, da paese morto che ormai era, si sono ripopolate le piazze e le vie, sono state ristrutturate le vecchie case abbandonate, sono state riaperte le antiche botteghe, la scuola ha ripreso a funzionare e si sono create ora cooperative di turismo solidale che portano “interessati” a visitare Riace non più per i bronzi che lì furono trovati, ma per le sue buone pratiche di inclusione e accoglienza.
Domenico ci crede a quello che a suo tempo disse Franco Basaglia: “Criminalità, mafie, così come molti dei problemi che quotidianamente si trovano a dover affrontare politici e amministratori, non si possono vincere, al massimo convincere e in questo modo generare trasformazioni.”

Il sesto volto che incontro è quello di Federico. E’ uomo, giovane e professionista dell’accoglienza ferrarese. Difficile rimanergli indifferente.
E’ Federico Tsucalas, operatore della Cooperativa Camelot che a Ferrara da decenni si occupa di politiche migratorie, accoglienza e diritti di asilo.
La gestione attuale della “migrazione” non è frutto di incapacità, e non ha più fondamenti etici ma ha uno scopo molto preciso, economico. Nel gioco che si sta facendo sulla pelle dei migranti c’è uno strumento che viene molto utilizzato che è “l’emergenza”. “Parlare di emergenza serve ad evitare la trasparenza, serve a mettere in secondo piano la lesione dei diritti di tanti esseri umani, a scaricare delle responsabilità le istituzioni, serve per sfuggire ai controlli sulle cifre spese, serve a confermare la migrazione come un problema di ordine pubblico e non come un problema di carattere umanitario”. Ma possibile che si possa definire emergenza un qualcosa che dura da 15 anni? Che coinvolge una quantità di persone ridicola? A Lampedusa l’anno in cui sono sbarcate più persone è stato il 2011 con 50.000 arrivi, ma sono numeri irrisori se si pensa che ad un concerto di Vasco Rossi, in una stessa sera, si riversano in uno stadio 80.000 persone!

“All’ombra dell’emergenza si compiono le peggiori illegalità, anche nei confronti dell’ambiente: a Lampedusa i barconi vengono ammassati per anni, scolano a terra carburanti e olio, contaminano il terreno”, specifica Paola La Rosa. “Le politiche attuali non gestiscono l’immigrazione irregolare, hanno creato l’immigrazione irregolare. Nessuno nasce irregolare, è la nostra legge che ti ci fa diventare, e non permette a nessuno di uscire da questa condizione. Nemmeno Ghandi riuscirebbe a regolarizzarsi. La creazione dei “clandestini” è funzionale all’economia: chi li raccoglie i nostri pomodori se non loro? Se gli stranieri prendessero quanto gli italiani, se ci fossero uguali garanzie per tutti, nessuno darebbe loro da lavorare, sarebbero fuori mercato. Poi dalla televisione si propaga il clima di paura, “attenzione, ci stanno togliendo il lavoro!”, e così si toglie l’attenzione dai corrotti e dai corruttori. E’ un sistema troppo perfetto per essere frutto di ignoranza”.
In Italia non esiste una legge organica sul diritto di asilo e non c’è alcun decreto che lo regoli, solo “trasferimenti”. Semplici comunicazioni di quanti devono essere spostati, da dove a dove, tramite fax.

Dai dati della Questura di Ferrara sono 485 le persone accolte l’anno scorso a Ferrara e 90 quelle giunte nei primi mesi di quest’anno. Ma sono dati sottostimati perché fenomeni di migrazione portano allo spostamento nord-sud di molte persone.
Ferrara si riconosce come città accogliente, anche alla luce del fatto che cultura non è solo la grande mostra al Palazzo dei Diamanti o lo spettacolo di richiamo al Teatro Comunale, ma è anche accoglienza. IL Comune di Ferrara aderisce infatti dal 2006 allo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e tramite esso ha sviluppato un modello che si potrebbe definire di “Accoglienza diffusa” sul territorio, attraverso la costituzione di piccoli gruppi-appartamento distribuiti su molti comuni e numerose strutture. Questo modello si contrappone a quello dei grandi centri governativi (i CARA) che tende ad aggregare numeri molto alti di persone in poche strutture sul territorio. Il modello ferrarese ha l’obiettivo principale di non sovraccaricare le strutture e i comuni, di coinvolgere più istituzioni possibili, di sensibilizzare e declinare gli interventi sulla base delle effettive necessità delle persone. Ma non è un modello perfetto, sconta tantissime difficoltà e necessita di adeguarsi ai sempre più frequenti cambiamenti, ad arrivi così imminenti, all’eterogeneità delle persone che si accolgono.

Per questo è importante confrontarsi con altre esperienze e realtà, pur avendo ciascuna peculiarità legate molto anche al territorio in cui si verificano.

Per strutturare la Ferrara del futuro è necessario trovare modi e strumenti alternativi di accoglienza, anche sfruttando le professionalità già esistenti sul nostro territorio e creandone di nuove. Perché accogliere è un lavoro e non lo si può improvvisare. Dell’esperienza di Riace si possono fare propri obiettivi di valorizzazione del territorio a partire dai nuovi arrivati che come a Riace potrebbero far rivivere edifici abbandonati, attività economiche ormai in estinzione con una conseguente ricaduta economica sul territorio.

Ma allora chiedo ai tanti volti incontrati: Cosa vorreste portare a casa da questo incontro?
“Vorremmo che si tornasse a casa con la voglia di controllare se quello che abbiamo detto è vero. Ci basterebbe questo”.
Noi di Listone Mag l’abbiamo fatto…ma lasciamo a voi scoprirlo di persona.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.