“Sono morto da più di vent’anni,ma ancora non so staccarmi dalla mia città. Bella com’è, i forestieri m’invidiavano sempre di viverci e io non avevo forza di deluderli. Che ne sapevo di come si vivesse altrove? Avrei dovuto andarmene, spezzare la catena che mi legava a questo centro di pianura, sprofondato in una depressione non solo geografica” (Le città del Dottor Malaguti – Roberto Pazzi, edizione Corbo)

Il cielo è grigio su Ferrara, è umido e minaccia pioggia, mentre passeggio avanti e indietro in Contrada della Rosa, aspettando Giacomo per il servizio, ripenso mentalmente alle domande che dovrò porre e, per l’ennesima volta, riordino i miei pensieri e la scaletta dell’intervista. Sono nervoso, sono sempre agitato quando mi capita di parlare con Roberto Pazzi, sarebbe forse semplicistico dire che provo timore reverenziale. Non è questo, è una specie di ansia, un’aspettativa come all’Università quando attendevo il mio turno per sostenere un esame e nel poco tempo previsto dalle sessioni del professore, dovevo dare il meglio di me, dovevo dimostrare di essere preparato e adeguato al compito.
Non capita sicuramente tutti i giorni di poter intervistare il più importante scrittore ferrarese contemporaneo, erede ideale di una lunga schiera di letterati estensi che nei secoli, fin da Ariosto e Tasso, hanno dato lustro alla nostra Ferrara. Ed è proprio la città l’argomento cardine dell’intervista: Ferrara vista con gli occhi e con l’esperienza di uno dei suoi più illustri figli.
Finalmente arriva Giacomo e ostentando tranquillità suono il campanello.

Roberto Pazzi ci accoglie calorosamente nel suo appartamento al quarto piano, e la prima cosa che mi colpisce è la quantità incredibile di libri presenti in casa, mensole, librerie e scaffali pieni, sono ovunque ed improvvisamente mi sento completamente a mio agio, sembra quasi di respirare tutto il lavoro di Pazzi, tutte le idee, la ricerca, la fatica e l’estro dello scrittore. Quasi prevenendo una mia tacita richiesta il professor Pazzi ci mostra il suo studio, il luogo, come direbbero alcuni, dove si crea “la magia” della letteratura, il vero e proprio sancta sanctorum dello scrittore.
Ci accomodiamo in salotto e iniziamo a chiacchierare, ovviamente già dalle prime battute capisco che sarà molto difficile seguire la scaletta che mi ero prefissato perché Pazzi ci conquista fin da subito con la sua innata abilità nel raccontare e con il dono di farsi ascoltare e suscitare interesse nell’ascoltatore. E’ sempre un piacere sentirlo parlare, c’è sempre da imparare e come tutte le volte che mi è capitato di ascoltarlo durante interventi, presentazioni di libri e corsi di scrittura creativa, rimpiango di non averlo avuto come professore alle scuole superiori o all’università poiché sicuramente sarebbe riuscito a nutrire maggiormente la mia già grande passione per la letteratura. Roberto Pazzi è una di quelle persone che ascolteresti per ore, ma cerco di ritornare sui binari professionali del mio ruolo e partiamo con la prima riflessione sulla città.

Cosa rappresenta per lei Ferrara?

Ferrara è un destino, non è scelto. Noi non scegliamo nulla né nome, né epoca storica. Noi siamo scelti e dobbiamo immancabilmente fare i conti con il luogo che ci ha scelti. E’ una città con un’individualità ben precisa ha un grandioso passato ma, ahimè, un ben misero presente. Ferrara vive di rendita, è “una bella allo specchio”. Se ci pensate, Ferrara non ha nulla che ne interrompa lo skyline, i mari, simbolo per eccellenza dell’altrove, sono lontani, le montagne con i loro verticalismi non ci sono, Ferrara ha un infinito intorno, qui è nata la straordinaria proliferazione di fantasia dell’Ariosto, il tutto favorito dal vuoto, quasi si dovesse sopperire ciò che manca usando l’immaginazione. Ferrara è sarmatica, ha qualcosa della Russia, qui il vuoto è la memoria.
Ferrara è una struggente malinconia, ci si vive volentieri tutto sommato, è tranquilla e a misura d’uomo, si vive ancora in un impianto rinascimentale. Qui c’è una circolarità del tempo.

Per qualche istante lo sguardo di Roberto Pazzi si perde sognante al di fuori della grande vetrata del salotto, quasi a rincorrere qualcosa di indefinito e insondabile, poi, lentamente torna a volgersi verso di noi.

Foto di Giacomo Brini

I ferraresi come vivono questa città debitrice di un passato così importante?

La psicologia ferrarese è conservatrice e diffidente dal nuovo. Diffida di chi si distingue. Tutti dobbiamo dormire il sonno della ragione. Credo ci sia una depressione struggente nei ferraresi che cerca riscatto e sfocia in un erotismo spinto e in una cucina pesante e sensuale. La vita è azzerata, bisogna trovare il modo di provare “il brivido”.

Ma cosa offre dunque una città come Ferrara?

Qualcosa si fa, qualcosa si cerca di far muovere. C’è il Palio, ma forse è un poco. C’è sicuramente il Festival di Internazionale che per Ferrara è stato, e continua ad essere, un evento fondamentale capace di veicolare nuove idee e di portare il mondo nella nostra città. Ci sono le mostre a Palazzo dei Diamanti certamente, che sono state rese grandi da Farina e dai tredici anni di amministrazione di Soffritti che ho sempre ritenuto essere un despota illuminato, ma anche in questo campo Ferrara ora vive di rendita, anche se devo ammettere che apprezzo il sindaco Tagliani, persona seria e corretta che fa tutto il possibile per dare lustro alla città. Non posso dire lo stesso per il nostro attuale Vescovo, che considero un talebano che ha riportato indietro di centinaia di anni la concezione della chiesa, tornando a quello che potrei definire un integralismo cattolico. Ne ho anche scritto sul Resto del Carlino in merito alla polemica dei mercoledì sera, la Postribolo Night.

Lei ha insegnato per molti anni, sia alle scuole superiori che all’università, cosa si potrebbe fare per i giovani ferraresi?

Bisognerebbe sicuramente lavorare sulla scuola e sull’università, appunto. La classe docente è sottovalutata, ci sono circa il 10% di ottimi professori, che vivono l’insegnamento come una missione, guidati dal demone interiore del condividere quello che si sa e di educare e plasmare le giovani menti, il resto del corpo docente scalda le sedie. Le scuole superiori e l’università sono davvero i luoghi dove si dovrebbero creare nuove idee, invece risultano essere un parcheggio comodo, una bolla, l’università fa fatica è forse troppo autoreferenziale. Si dovrebbero responsabilizzare maggiormente i giovani e invece sembra che siano sempre da proteggere, così si creano solo dei giovani bamboccioni.
Noto anche una preoccupante mancanza di interesse dei giovani per la politica, c’è poco impegno civile, non si è saputo creare una scuola giovane, una nuova classe politica.
Da Ferrara si fugge…

Se non sbaglio lo diceva anche Giorgio Bassani…

(Lo sguardo di Roberto Pazzi si illumina nel sentire il nome del precedente cantore di Ferrara)
Lui però alla fine è fuggito. Ricordo che lo dissi anche durante il discorso per la sua commemorazione funebre nel 2000 ( la malinconia pervade il suo sguardo al ricordo):

“Noi ferraresi, siamo il suo tema ossessivo, noi rosi dalle invidie di provincia, sempre pronti a scaricare le nostre colpe sulla città che non ci ha capiti. Siamo noi i suoi personaggi, i suoi fantasmi, che lui poté osservare solo lasciando Ferrara e mettendosi alla distanza sufficiente per rappresentarli…”

Risvegliato Bassani non possiamo esimerci dal parlare un po’ di letteratura e dell’apporto che Roberto Pazzi ha dato a Ferrara con alcuni suoi romanzi.

Da sempre Ferrara è perciò legata al fantastico anche nei libri che lei ha dedicato alla città è presente questo elemento…

Ho trattato Ferrara in due romanzi, “Le Città del Dottor Malaguti” e “La Città Volante”, nel primo racconto le storie della città, i luoghi cari e le vicende degli abitanti visti però da un fantastico osservatore, un oculista morto da vent’anni, la cui anima ancora non riesce a staccarsi dalla città, nell’altro invece immagino che una città italiana non specificata ma facilmente riconoscibile, scompaia tra le nuvole, prenda il volo staccandosi ed elevandosi dalla pianura dove sorgeva… Il fantastico, l’immaginifico è un vedere con gli occhi chiusi.

Detto questo il professor Pazzi prende in prestito la mia copia de “Le Città del Dottor Malaguti” e ci legge con passione e ritmo incalzante l’illuminante elzeviro pubblicato sul Corriere della Sera dell’apoca che accompagna l’edizione Corbo del testo.

“(…) Da Ferrara chi scrive, concependo questo atto come assoluto, fugge. Nessuno rimane. Bassani, Antonioni, Caretti vivono da sempre altrove. E quei fuggenti sembrano volerci dire che non si può vivere qui. (…) Perché la sordità e l’apatica indifferenza del cardinale Ippolito (riferito al giudizio di questi verso i primi canti dell’Ariosto ndr) sono l’eterna difesa che a Ferrara connota la disperazione del tranquillo italiano medio, il quale non vuole essere scomodato; la vita a Ferrara svela la nuda trama di cui è intessuta. Liceo, Casa Cini o Fgci, lavoro, fidanzamento, acquisto della casa, matrimonio, figli, pensionamento e morte. Le “liete voglie sante” che la natura biologicamente dona alle stirpi umane. E che nessuno venga a svegliare i morti che vivono, i quali ogni domenica allieteranno il desco delle paste alla crema o al cioccolato. E le loro anime, arrese alle paste, contente.(…) Qui, compiute le due o tre cose che assicurano il vivere quotidiano, rimane sempre comunque tanto tempo da riempire. Gli orologi della stazione di De Chirico scoraggiano l’attesa proprio come le parole del cardinale Ippolito D’Este annullano l’aspettativa e il sogno della gloria: paiono dire che non c’è nulla da attendere, che non verrà nessuno, che la Storia, L’Evento salvifico ed escatologico, la Rivoluzione, l’Imperatore, il Veltro, Dio insomma non passerà più di qui, se pure mai è passato una volta.”

Roberto Pazzi ci guarda e sorride.
“Forse questo potrebbe servirvi da canovaccio nella stesura dell’articolo”.
Mi ritaglio cinque minuti per l’ultima domanda.

Progetti in cantiere?

Il 16 Aprile esce il mio nuovo romanzo per Bompiani, “La Trasparenza del Buio”, una storia carica di sensualità che tratta dell’amore in tutte le sue forme.

Ci sarà Ferrara nel romanzo?

Diciamo che alcuni degli elementi della città saranno presenti si, uno dei personaggi è di Ferrara.

Ringraziamo il professore per la sua pazienza e la sua disponibilità e ce ne andiamo, arricchiti ancora una volta dal confronto, dalla condivisione e dal dialogo.

Mentre in bicicletta torno verso casa e mi chiedo tuttavia se abbia passato l’esame, penso a tutte le persone invece che hanno scelto di rimanere a Ferrara, penso a me stesso, alle possibilità che è avuto di scegliere la fuga e a cosa mi ha trattenuto qui, se gli amici, gli amori, la famiglia, non certo il lavoro, e mi rendo conto che la scelta di restare e affrontare tutto quello di cui abbiamo parlato con il professor Pazzi, è la via più difficile, la via di fermarsi e resistere. La fuga, paradossalmente, è facile, l’andare è comodo, lo si fa per cercare un posto migliore, per le proprie aspirazioni. Non so se sia un fuggire dalle proprie responsabilità, Ferrara è una responsabilità dei ferraresi, Ferrara è un destino, dal destino non si può fuggire, perché in un modo o nell’altro ti ritrova.
Credo, tuttavia, sia vero anche il contrario, noi ferraresi siamo il destino della nostra città, un destino da costruire, un destino non scritto, un destino da inventare.

Perché si rimane a Ferrara? Per dare una mano, per fare la propria parte. Restituire alla nostra città quello che le è stato tolto decenni fa: un futuro, la possibilità di uscire dagli schemi prefissati della mediocrità e del vivere di rendita a cui per fin troppo tempo è stata abituata. Roberto Pazzi è rimasto, e la passione che mette da sempre nei suoi romanzi e nella voglia di insegnare e condividere l’esperienza maturata come scrittore e poeta, è la linfa vitale dei suoi corsi di scrittura creativa. Creare giovani che si impegnino culturalmente e in modo intelligente per Ferrara rimane una priorità.
Si perché qui si lotta, qui ci si rialza sempre, qui si deve guardare dritti in faccia alle avversità, qui si resiste, nessuna ritirata, nessuna resa, rubo le parole, questa volta, ad una grande canzone che negli anni adolescenti è stata quasi un mantra: “Like soldiers on a winter’s night, with a vow to defend, no retreat, no surrender”. Ringrazio Bruce Springsteen per queste parole e ringrazio il professor Roberto Pazzi per avermi fatto capire perché io sono rimasto a Ferrara nonostante tutto

3 Commenti

  1. Emanuela Bassan scrive:

    Bell’articolo. Concordo con il senso di malinconia che pervade un po’ Ferrara e le città storiche in generale. Forse è nostalgia per il grande passato di fronte ad un presente non esaltante ed ad un futuro che non si sa come sarà.

  2. marco scrive:

    Io ho avuto la fortuna di avere come professore di italiano alle scuole superiori Roberto Pazzi.. ricordo sempre di lui una frase che portero’ sempre con me… Io sono qui all’istituto di Ragioneria Vincenzo Monti di ferrara per una missione.. per non farvi diventare Ragionieri !!!!
    Con me e’ riuscito in pieno nella sua missione! … E penso che qualcuno abbia avuto la fortuna di fermarsi ad ascoltarlo quando sulle mura di Ferrara ci leggeva le gesta di Orlando o le terzine di Dante..

  3. Giuliano Malaguti scrive:

    Ultimamente ho cercato di capire il legame di Pazzi Bassani e Tasso a Ferrara per comprendere se veramente è una città dove è difficile alzarsi o scarcerarsi… comunque è nello stare e dalla lentezza di andarsene che nasce la poesia:: Bell’intervista e complimenti Alberto e a tutti !

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