Video di Andrea Bighi

Intervista in collaborazione con Anja Rossi

Gli occhi vigili dell’indagatore dell’incubo ci scrutano in silenzio dalla locandina sulla parete. Quelli un po’ sornioni e un po’ distratti della gatta Pimpa forse si chiedono il perché della nostra presenza. La stanza dove siamo è lo studiolo dove lavora Nicola Mari, disegnatore ferrarese della Sergio Bonelli, da anni nello staff che racconta le vicende di Dylan Dog. Zigzagando fra musica, filosofia e letteratura, in un insolito percorso che incrocia Platone e Giovanni Lindo Ferretti, Sigmund Freud e Pier Paolo Pasolini, mentre il chiaro della birra attenua il calar della sera, troviamo il tempo di realizzare la nostra intervista.

Tu hai frequentato l’istituto ‘Dosso Dossi’ a Ferrara. Senza una base scolastica è possibile diventare un disegnatore?

Il disegno è l’indotto di un bagaglio culturale e tecnico. Pertanto tutto ciò che concorre alla formazione di tale corredo è essenziale, a partire dalla dimensione scolastica che a mio avviso non è solo quella istituzionale, ma qualsiasi percorso personale di studio e approfondimento. Resta inteso che nessun percorso culturale può essere intrapreso senza quei “fondamentali” cognitivi e sentimentali, che solo le scuole primarie (elementari e medie) ed un contesto familiare adeguato, possono garantire.

Da piccolo quali erano i tuoi riferimenti nel mondo del fumetto?

Erano i fumetti della mia infanzia dei primi anni settanta, super-eroi in primis. Amavo molto Magnus e Guido Crepax (ogni Natale mi facevo regalare dai miei genitori un volume di Valentina). Ma ciò che trasformò la mia fascinazione in amore per il fumetto furono due eventi editoriali: ‘Un uomo un avventura’ e ‘La storia del west’, entrambi di Sergio Bonelli.

Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto erotico?

Il fumetto di genere erotico lo intendo riferito a piccole collaborazioni – risalenti a oltre vent’anni fa – per riviste come ‘Diva’ della Glittering Images, e per le edizioni ‘Glamour International’, il cui profilo era piuttosto sofisticato.

Ci racconti qualcosa di quell’esperienza?

La mia esperienza nel genere erotico è stata però anticipata da un periodo di collaborazione su quelli che eufemisticamente si chiamavano “albi per adulti”. All’inizio del mio percorso di fumettaro inesperto ebbi la possibilità di potermi confrontare con questo tipo di produzione meno “rigorosa” e più “esplicita”, che però mi diede la grande opportunità di affrancarmi dallo “spontaneismo” per accedere alla dimensione professionale.

Rispetto a oggi, negli anni nei quali hai cominciato a disegnare, c’erano argomenti tabù?

Le arti in generale possiedono la meravigliosa facoltà di trasformare lo sguardo e la percezione del reale, consegnandoci a ipotesi di realtà trasversali talvolta più reali del reale, talvolta in grado di rendere poetico e vibrante quanto nel quotidiano sarebbe tabù. Questo è uno tra gli aspetti a fondamento dell’evento creativo di cui il fumetto ritengo sia un esempio formidabile. Forse è per questo motivo che in tanti anni di lavoro non ho mai avvertito alcun senso d’interdizione, di tabù.

Come è nata la collaborazione con la Sergio Bonelli?

Nel lontano 1989 mi presentai alla Sergio Bonelli Editore con alcune tavole di prova di Dylan Dog nello stesso momento in cui stava nascendo la prima testata di fantascienza  della  Sergio Bonelli, Nathan Never. Seguirono altre tavole di prova e nel giro di pochi mesi ero tra le fila dei disegnatori di Nathan, personaggio a cui devo moltissimo.

Come funziona il rapporto fra sceneggiatori e disegnatori alla Sergio Bonelli nella realizzazione di una singola storia?

In modo molto semplice: ricevo via mail, o per posta, la sceneggiatura. Il soggetto in genere viene precedentemente stabilito con il curatore Roberto Recchioni che, nel caso della storia che sto attualmente illustrando, è anche autore della sceneggiatura. La storia in questione introdurrà la seconda fase del “nuovo ciclo” di Dylan Dog, e sarà a colori.

Inizialmente hai lavorato per Nathan Never. Dal punto di vista grafico, è semplice approcciarsi a un genere come la fantascienza?

Fantascienza e horror sono generi strutturalmente affini e congeniali alla mia cifra stilistica; pertanto, in entrambi gli scenari, mi muovo nel mio elemento naturale.

Foto di Andrea Bighi

Come sei arrivato a disegnare le storie per Dylan Dog?

È stato un passaggio quasi fisiologico, essenzialmente dovuto al mio modo di disegnare.

La tua prima storia, ‘Phoenix’, pubblicata nel dicembre del 1996, è stata sceneggiata da Tiziano Sclavi, ideatore del fumetto dedicato all’indagatore dell’incubo. Quanto hai sentito il peso della responsabilità nel debutto?

Il senso di responsabilità era assoluto e il rischio di esserne “paralizzato” plausibile. Ma la magia della scrittura di Tiziano Sclavi mi catturò a tal punto da scongiurare questa eventualità.

Quanto tempo impieghi per realizzare un albo?

Fra i sei e gli otto mesi.

Prima di disegnare le sue storie, eri un lettore di Dylan Dog?

Assolutamente sì.

Che cosa ti affascina dell’universo dell’indagatore dell’incubo?

Dylan Dog si occupa di incubi, dello scenario dischiuso dalla parte più profonda e sconosciuta dell’animo umano – perciò inconscia – in cui si articola il discorso “dell’altro” che noi siamo. Il tema dell’alterità, del doppio, del perturbante, sono temi stringenti della condizione umana che Dylan si incarica di indagare, consegnandoceli in tutta la loro complessità. In questo senso Dylan ci invita alla riflessione, ad aprire domande, più che a ricercare risposte che, in tale contesto sarebbero insufficienti. L’universo di Dylan Dog è il luogo del dubbio; dunque, il luogo in grado di ospitare le differenze, compresi i molteplici modi di essere donne e uomini, in cui spesso i mostri sono “l’altro” che non sappiamo di essere, fantastico!

Con il passare degli anni, riesci a far coabitare in te il lettore e il disegnatore?

Mi piace pensare di sì.

Nel tuo caso, esiste un orario ideale per disegnare?

Un tempo lavoravo la notte, poi, raggiunti i quarant’anni, ho adottato orari più convenzionali. Il momento in cui raggiungo il maggior grado di concentrazione o, in modo più lirico, di ispirazione, è in genere il tardo pomeriggio.

C’è qualcosa di Ferrara nella Londra che disegni per Dylan Dog?

Sono anni che me lo domando senza risposta, anche perché la stessa città è tante città diverse quanti sono coloro che la osservano. Si potrebbe dunque azzardare che esistono tante Ferrara, tante Londra e così via. E potrebbe accadere che vi sia chi, dotato di molta fantasia e di un bizzarro colpo d’occhio, veda in Ferrara una città più simile a Berlino, o a Madrid… Perciò spesso mi chiedo quanto della Londra di Dylan Dog ci sia nella “mia” Ferrara e, anche in questo caso, senza risposta.

È più facile disegnare una storia dove predomina l’elemento soprannaturale, o piuttosto una molto realistica?

A mio avviso anche il realismo più puntuale è sempre soprannaturale.

Credi che un personaggio dei fumetti debba rimanere fedele a se stesso con il trascorrere del tempo, o in qualche misura debba assecondare i cambiamenti della società?

La fedeltà a se stesso di un personaggio dei fumetti – come di una persona in carne ed ossa – sta proprio nella sua capacità di modificarsi, non assecondando i cambiamenti della società ma dialogando con essa. Ed è soprattutto in questo dialogo reversibile tra creatività e “realtà”, che consiste il cambiamento di una società.

Cosa pensi dell’attuale e progressivo cambio di rotta di un fumetto così peculiare come Dylan Dog?

Più che un cambio di rotta, ritengo che sia in atto una rivoluzione (in senso copernicano) che incarna alla perfezione le esigenze e le peculiarità di un personaggio come Dylan Dog e, insieme, quelle dei suoi autori. Ciò, a mio modo di vedere, è la dimostrazione che innovazione e creazione non sono nella cancellazione, ma a partire dalla capacità di saper assumere l’eredità, mettendo in relazione passato e presente in un dialogo in grado di generare l’imprevisto, in cui consiste il loro futuro.

In che misura il cambiamento di un fumetto passa attraverso il linguaggio?

Il fumetto è un linguaggio. La misura di un suo eventuale cambiamento è direttamente proporzionale alla qualità del pensiero che sta alla base di ogni linguaggio.

Nel tuo lavoro, quanto è importante il rapporto con la tecnologia?

Il rapporto con le tecniche, e oggi con le tecnologie, sono l’essenza del mio lavoro. Le arti tutte, fumetto compreso, rappresentano l’eterno dialogo tra pensiero e tecnica. Banalizzando un po’, quando un’idea (il fine) e la tecnica (il mezzo) sono nelle condizioni di stabilire una relazione generativa, abbiamo il dipinto, il romanzo, il fumetto e così via.

C’è ancora spazio oggi, in Italia, per un luogo di aggregazione come una fumetteria?

Oggi i luoghi di aggregazione hanno due volti, on-line e off-line. La controprova è che la comunicazione on-line antecede l’incontro off-line, e viceversa . Queste sono le opportunità che il web può offrire insieme ad altre fantastiche possibilità.

Quale è un lato “negativo” del tuo lavoro?

Passare molto tempo in solitudine, il che confligge con la mia natura di animale sociale.

Se non avessi fatto il disegnatore, a cosa ti saresti dedicato?

Eh, qui siamo al limitare della metafisica… Questa è una domanda enigmatica e in quanto tale,   destinata a rimanere insoluta. Perciò per me che amo molto di più le domande delle mie risposte, trovo che questa sia una bellissima domanda, “bella e impossibile”. Infatti per poter rispondere dovrei sapere quale sogno avrebbe voluto realizzare l’“io” che non sono. Se un giorno dovessi incontrare questo sconosciuto (e non lo escludo), mi impegno a inoltrargli la vostra domanda-enigma; potrebbe essere un buon pretesto per riprendere questa piacevole conversazione.

6 Commenti

  1. Raffaele scrive:

    Bravissimo Nicola!
    complimenti a te e agli autori dell’intervista, è davvero una bella conversazione.
    molto suggestive e ricche d’atmosfera sono le foto e il Drawing di Bighi; …(simpatico il gatto! e irresistibile il Godzilla!!!) complimenti davvero a tutti.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.