Nei giorni scorsi il dibattito intorno alla doverosa retribuzione dei lavori cosiddetti creativi si è di colpo infiammata per la pubblicazione di una serie di video in rete che in poche ore hanno scatenato condivisioni e click esaltati da ogni parte d’Italia. Mi riferisco ovviamente alla campagna #coglioneno, ma se ve la siete persa potete recuperare il tutto qui prima di proseguire la lettura: http://zerovideo.net/coglioneno

Al momento i video hanno superato in pochi giorni 500mila visualizzazioni, numeri alti ma non esagerati se si pensa che in Italia siamo oltre 60 milioni di abitanti e di essi circa 40 milioni hanno accesso alla rete. Certo c’è tempo perché il video si diffonda ancora ed è un bene sia così. C’è però una parte della rete che si è accesa e ha viralizzato questi contenuti perché in qualche modo ci si è riconosciuta, e una parte invece che non si è mai interessata all’argomento e forse mai lo farà. La percezione di cosa accade in rete è sempre viziata dalla parte che noi frequentiamo: vi interessano i gattini o l’arte? Le motociclette o le barzellette? Che lavoro fate? Dove vivete? Che interessi politici avete?
Scherzando (ma è proprio così) spesso dico che stando a quanto leggo su Twitter tutti seguono gli stessi programmi tv, tutti ascoltano dischi indie, tutti votano il candidato outsider alle primarie. Poi ti accorgi che la realtà è molto più complessa e quella piccola parte di rete che frequenti non è il 99% ma una minoranza che in larga misura la pensa come te su molte cose e vizia la visione d’insieme su quasi ogni argomento.

Ma dicevamo del video #coglioneno. La presunzione di mettere sullo stesso piano il lavoro di un giardiniere, un idraulico, un antennista e quello di uno scrittore, grafico, webdesigner, fotografo o videomaker di turno è un pretesto iperbolico per sollevare un problema in realtà annoso. Perché i primi vengono pagati alla consegna del lavoro finito e nessuno si sognerebbe mai di rimandare il saldo a data da destinarsi, mentre ai secondi viene detto spesso che il lavoro non prevede budget e probabilmente dovranno accontentarsi della gloria o peggio ancora della visibilità offerta?
E’ presto detto: perché i lavori di intelletto nella percezione delle persone sono – potenzialmente – alla portata di tutti. Siamo tutti scrittori, siamo tutti fotografi, siamo tutti grafici. Si tratta di lavori perfettamente replicabili dal primo che passa per strada secondo l’idea di molti. Sono lavori su cui tutti possiamo dare il nostro parere, metterci il naso, prendere posizione ed imporre scelte che cambiano drasticamente il risultato finale. Ma ciò che è peggio è che sono replicabili dai datori di lavoro stessi, che in quanto possessori di cervello sono anche in grado di scrivere un testo in italiano, scattare una fotografia possibilmente dritta, fare un filmino con una videocamera o realizzare un sito web rudimentale con qualche software intuitivo che hanno comprato alla Coop. E’ vero: ne sono perfettamente in grado in qualche modo.

Evidentemente ad un certo punto della storia qualcosa è andato storto e chi svolgeva una professione frutto del proprio intelletto è rimasto fregato dal progresso tecnologico. Macchine fotografiche, computer sempre più potenti, videocamere, smartphone, eccetera. Dagli anni Novanta in avanti gli strumenti hi-tech hanno reso la produzione di contenuti multimediali di ogni tipo e in generale la comunicazione un qualcosa potenzialmente alla portata di tutti.
La differenza tra chi fa questo lavoro con professionalità e chi lo fa arrangiandosi “senza budget” con quello che sa fare sta esclusivamente nella qualità del prodotto finito che si vuole ottenere. Sono però in grado i nostri committenti di valutarne la bontà oppure per loro è davvero indifferente chi fa il lavoro e quale sarà il risultato? E noi professionisti che facciamo un lavoro “creativo” siamo in grado di far capire quale valore aggiunto mettiamo sul piatto oppure il giudizio finale del cliente sarà “bello, bravo” al pari del compitino svolto in meno tempo e a costo zero dal cugino o dal vicino di casa?

Lavoro nel settore della comunicazione visiva da oltre sette anni, relativamente pochi per poter avere una visione più ampia del problema ma tantissimi per farsi un’idea di come gira il mondo in questo ultimo decennio dove la comunicazione si è evoluta in maniera drastica imponendo ritmi e linguaggi via via nuovi. Soprattutto lavoro in un contesto come quello di Ferrara, una città piccola e decentrata, proprio quel posto dove ci si interessa certo di cultura e di arte ma spesso le cose vengono fatte appunto “in casa”, arrangiandosi con i mezzi che si hanno per la mancanza di fondi. Mancanza di fondi che è il mantra che si sente ripetere un po’ in ogni dove da istituzioni, privati, associazioni. In larga parte è proprio così: quello che prima ti poteva essere commissionato e pagato un tot, l’anno dopo dovrai garantirlo per meno, e così via fino a non farlo più a meno di lavorare gratis. Finché si tratta di associazioni e istituzioni a volte i fondi sono davvero risicati, ma quando a dirtelo è una Srl o una Spa con molti dipendenti brucia un po’ di più e si sente puzza di inganno.

Raramente ho lavorato senza un budget di alcun tipo, in alcuni casi per calcolo mi è stato utile farlo o mi interessava genuinamente prendere parte, aiutare, contribuire in qualche modo a cause che ritenevo valide. Non sempre lavorare gratis è sbagliato: ci sono casi in cui se quello che fai è fonte di soddisfazioni vale la pena darsi da fare. Ci sono casi in cui si prende parte a progetti che sul lungo termine daranno risultati, saranno fonte di guadagno, ricompensa, riconoscimento se qualcuno in essi vedrà qualcosa di buono e di qualità. Si lavora a volte per la sola soddisfazione di vedere realizzato qualcosa cui si tiene. Ma costa molta fatica e in città piccole come la mia risulta ancora più complesso. Passeggiando per le vie di Milano troverete un mare di locandine di eventi e serate nei locali, di conferenze, concerti, appuntamenti all’aria aperta e così via. Troverete stimoli visivi straordinari che nelle piccole città mancano del tutto. Troverete persone che producono poesie, fanno video, hanno idee geniali, fotografano dettagli in modo sublime. Andate a Berlino, Roma, Londra. Guardate come sono impacchettati, proposti, diffusi contenuti in tutti quei progetti che poi fanno il giro del mondo, restano nella memoria collettiva, vincono concorsi e premi. Nelle città di provincia, Ferrara come altre, c’è un livellamento verso il basso di tutta la produzione creativa, girano meno idee, si vedono meno cose “belle” che sono a loro volta fonte di ispirazione per altri. Ci si confronta meno e si producono lavori mediocri, compresi quelli del sottoscritto che non ha pretese di autoassoluzione.

In questi contesti urbani decentrati, nei paesi dove ancora fatica ad arrivare una linea adsl a metà degli anni Dieci, nelle insegne dei negozi in comic sans o nelle scritte fluorescenti con glitter e cuoricini che impazzano, in questo generale imbarbarimento del gusto, come può un creativo pensare di farsi pagare per realizzare qualcosa che a suo personalissimo giudizio ritiene professionale ma che nel senso comune delle cose è ritenuto accettabile al pari di una soluzione più artigianale, magari pacchiana ma self-made?

Tu mi chiedi i selfie con i filtri vintage e io volevo farti una foto d’autore, vuoi il filmato con le scoregge che fa ridere la rete ma ho studiato i tagli di inquadratura di Kubrick. Vuoi il sito con le gif animate, le scritte che rimbalzano e il pezzo dance in sottofondo, e io volevo ispirarmi al Bauhaus. È evidente che parliamo linguaggi differenti. È evidente che non riterrai mai opportuno pagarmi per queste produzioni, di sicuro non mi pagherai mai abbastanza per tutto questo se tu volevi qualcosa che avevi già bene in mente e taglierai corto facendolo da solo o facendolo fare a me a tuo modo e sottopagato (o non pagato).

In questo i lavori creativi non saranno mai al pari di quelli tecnici. Non esiste tecnologia che ripari da sola un lavandino che perde. Non esiste aggeggio che sistemi il prato e le siepi in giardino tutto da solo. Non esiste robot adatto a riparare il motore dell’auto in automatico. Lavori che vengono eseguiti e fanno funzionare le cose. In campo creativo rientra quel fattore estetico e di gusto personale da cui non si può prescindere e che inficia completamente il giudizio finale sul nostro operato. Da questo dipende, e sarà sempre così, quella retribuzione non all’altezza delle nostre aspettative. Non sempre sia chiaro, ma specialmente per un freelance alle prime armi purtroppo a volte è la dura realtà.

Concludendo, mi è un po’ dispiaciuto vedere alcune persone condividere entusiaste il video della campagna #coglioneno sui social network. Avranno annuito contente – ehi parlano di me! – o avranno riso amaramente pensando che era proprio così, meno male che qualcuno finalmente l’ha detto. Poi saranno tornati a fare i loro lavori non retribuiti, ad accettare per forza di cose progetti commissionati da persone ricche e prive di scrupoli che sono in grado di fare tutte queste cose ma lasciano che siano altri a farle (a modo loro) per dargli visibilità e popolarità spesso inesistenti.
La cosa che mi è spiaciuta più di tutte però sono quelle persone che negli anni mi hanno richiesto lavori completamente gratis ed in modo completamente immotivato quando alle spalle avevano ad esempio attività commerciali avviate. Vederle condividere tronfie i video della campagna #coglioneno non mi ha sorpreso del tutto ma ammetto che mi ha fatto un po’ #ribrezzo.

3 Commenti

  1. isabella scrive:

    Secondo me non é questione di cittá medio-piccola come Ferrara.
    Ho vissuto anni a Ferrara ed ora, da anni vivo a Barcellona e posso assicurare che il cattivo e buon gusto sono distribuiti esattamente nella stessa percentuale. Parliamo di altri numeri e per questo puó essere che all’apparenza possa sembrare una realtá completamente diversa, a in realtá é la stessa cosa. anche qua il lavoro intellettuale ed artistico non é considerato degno di compenso esonomico. Gestisco una piccola sala di Teatro ed expo e posso assicurare che le persone spendono ben piú volentieri e senza lamentarsi 8€ in un gin tonic che in uno spettacolo teatrale con ottime critiche. Purtroppo, tutto il mondo é paese.

  2. Notayo scrive:

    Non saprei.
    Parto da un assioma. Il creativo non è l’unico il cui lavoro è maldestramente replicabile da tutti. Direi piuttosto che è l’unico il cui lavoro è assolutamente irreplicabile perché presuppone una creazione originale. Non mi sentirei di chiamare creativo né chi produce elaborati di nessun gusto, né chi, dopo decine di anni di immersione nella cultura e nella produzione considerata “creativa” si ritaglia una serie di certezze su cosa è bello e su cosa non lo è. Per me il creativo è colui il cui lavoro non può essere ignorato né da chi ne condivide il gusto, né da chi lo ignora. E’ colui la cui idea non poteva accadere a nessun altro, in quel tempo e in quel luogo. Ferrara è quel luogo solo nel momento in cui accade una creazione originale, quindi non la vedo né più né meno idonea di una Recanati o una Londra qualsiasi.

  3. ilpi scrive:

    interessanti considerazioni, che condivido praticamente in toto..
    dove vivi conta, la tua età conta, la qualità di quello che fai conta (ma non per i clienti).
    non pagano perchè con il gioco al ribasso tipico di noi italiani inevitabilmente si finisce a lavorare sotto ricatto.
    bravo eugenio.
    bravi (e fortunati) i ragazzi di zerovideo che magari così trovano un pò di budget…

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