Ferrara, via Ragno numero 15. Un’infinità di volte sono passata davanti a quella serranda con scritto ‘Z u n i’ e cosa ci fosse oltre l’ho scoperto solo molto più tardi. Ma come è nato Zuni e chi l’ha gestito negli anni? Ecco la storia, o una delle tante storie, di questo piccolo-grande mondo.

Zuni nasce nel giugno del 2000, partorito da Maurizio Camerani, allora docente del Dosso Dossi, e dai suoi ex alunni Andrea Forlani, Luca Avanzi e Costanza Minelli. Menti diverse, ma con una comune idea: quella di pensare ad un luogo nuovo che non fosse solo un bar ma, anzi, nel quale si potesse progettare qualcosa di culturale. “Ci siamo ritrovati e per quattro anni abbiamo collaborato insieme, mettendo in piedi questo luogo. Dalla loro c’era già l’esperienza nel gestire un bar mentre io ero più legato all’organizzazione della parte artistica” racconta Maurizio.

Perché Zuni? Zuni era sì (come molti sanno) il nome del cane di Camerani, ma c’è di più. Gli Zuni erano un’antica tribù di indiani d’America. Questa popolazione si differenziava da tutte le altre per il fatto che non era nomade. La loro vita si basava sull’allevamento e sull’agricoltura, e in più erano un popolo di poeti e grandi conoscitori delle stelle. “Volevamo legare l’idea degli Zuni con l’idea di una tribù che facesse cose artistiche, raccogliendo in questo spazio una sorta di gruppo intergenerazionale” spiega Maurizio. L’idea era simile a ciò che in molte città europee esisteva già, ovvero quella di creare uno spazio polivalente che assolvesse a diverse funzioni. “Al tempo si sentiva parlare di ristoranti con le librerie dentro, ma nei dintorni non c’era nulla di simile e così abbiamo iniziato. Pensa che era il deposito di un biciclettaio senza nemmeno il pavimento! Così dalla finestra al bancone, dall’entrata al bagno, ogni cosa è stata partorita dalle idee prima e dalle nostre mani poi. A proposito, la porta del bagno era la porta di casa mia!”.

Il ‘primo’ Zuni era dunque pensato come luogo d’arte contemporanea, un palcoscenico in cui esporre le opere. La mostra inaugurava il sabato e durava un mese; inoltre vi erano presentazioni di saggi e di poesie o serate di musica. “Dopo aver collezionato ben trenta mostre e una cinquantina di concerti e dj set – conclude Maurizio – l’entusiasmo iniziale è venuto pian piano scemando, è così per tutti. Purtroppo non c’è possibilità di creare un locale che tenga il pubblico negli anni, a meno che non lo trasformi. Così ci siamo chiesti: ci interessa cambiare il locale in un’altra cosa? Fino all’ultimo abbiamo deciso insieme”.

Courtesy Maurizio Camerani, Paolo Vettorello, Rossella Merighi

Il primo passaggio della staffetta. “Era la cosa che bisognava fare!” mi dicono subito Guido Bovolenta e Paolo Vettorello, gli storici gestori di Zuni, atto secondo (periodo 2004-2008). “Zuni – continua Paolo – fu l’approdo naturale delle cose che da otto anni facevamo già entrambi. Volevamo cercare uno spazio e così siamo andati vedere vari posti tra cui un’ex macelleria con le piastrelle verdi e i bordi neri in via Saraceno, ma non ci convinceva. Poi un giorno mi chiama Bobo (Roversi) per dirmi di Zuni e nel giro di venti giorni è iniziato tutto”. “È iniziato il delirio, vorrai dire” ribatte prontamente Guido. “Eravamo organizzati sì, ma sulle nostre cose, quelle più musicali. Per il resto, a parte i gusti personali, eravamo ignoranti sulla parte di arte contemporanea e il bar, beh, lo conoscevamo bene sì, ma dall’altra parte del bancone! In più il bagno si intasava sempre…”. Sospiro generale. Riprende. “Di un posto come Zuni c’era comunque bisogno. Chi entrava si trovava davanti un luogo bianco, che non voleva importi niente. L’idea di Camerani e gli altri rischiava di risultare snob, noi volevamo invece dare carta bianca e lasciar proporre quello che si voleva”. Per Vettorello l’idea che Zuni fosse snob è comunque rimasta nel tempo, “ma è anche il suo bello perché è davvero un posto diverso dagli altri. Chi ha creato Zuni era avanti anni luce. Abbiamo capito subito che era un luogo con grandissimi potenzialità da tirar fuori e gestirlo è stato davvero affascinante: l’idea di avere un posto per i vini e per fare da mangiare era molto coinvolgente. Abbiamo introdotto i prodotti a km zero, il cibo per i celiaci, il biologico e i topinambur che andavamo a prendere in campagna con tutta la terra ancora attaccata. E a pensarci, avremmo voluto fare molto di più”. 

E la nascita dei concerti? È attribuita storicamente a voi… “Nacque così. Dopo due mesi di house Guido mi guarda e mi dice Basta! Io la prossima settimana qui ci faccio un concerto. In effetti mancava qualcosa. Oltre al dj set, in un luogo simile la gente doveva venirci a suonare. Ma chi? Sempre a Guido venne in mente una genialata. Noi eravamo deboli all’aperitivo, soprattutto alla domenica sera e ci siamo detti: perché non fare i concerti domenica alle sette di sera? A Berlino li fanno e soprattutto non spacchi i maroni al vicinato che alle nove inizia a guardare la partita. Costruimmo noi il palco che c’è tuttora e via. Eravamo gli unici in Italia a fare i concerti a quell’ora. I collegamenti con Ferrara sotto le stelle e le conoscenze che avevamo con i gruppi dell’underground e gli agenti furono la linfa base per poterlo fare. Per i gruppi era il classico day off, noi davamo da mangiare e da dormire, al massimo rimborsavamo le spese. “I gruppi dormivano a casa di mia e facevo loro la colazione – racconta Guido – tanto che Zuni era diventata l’ambasciata dello stato freak. Ne sono passati di ogni!”. C’era l’entusiasmo e l’amicizia, oltre al rispetto reciproco nell’affrontare sacrifici per portare a casa i risultati. “Se fossimo rimasti li – conclude Paolo Vettorello – doveva cambiare qualcosa. Eravamo stanchi entrambi, era un periodo faticoso. Poi un giorno mi telefona Guido e mi dice che sta per diventare padre. Era inevitabile, dovevamo fare delle scelte e abbiamo passato Zuni a Rossella e Nicola. Rimane una cosa: io se avessi quegli anni lì lo rifarei”.

Chemical experiments and Zuni’s tales. Rossella Merighi racconta di come abbia iniziato a lavorare da Zuni nel 2006 e di come fosse l’unico posto che frequentava e che tuttora frequenta. “Quando l’ho gestito con Nicola Donà – racconta Rossella – è stato faticoso, ma bellissimo. C’era la Silvia (Meneghini) che curava le mostre, Burio e la Vale (Matteo Buriani e Valentina Mosca) che proponevano i gloriosi cineforum e c’era addirittura la cucina vegetariana perché in cucina c’era la Betta (Elisabetta Pergolari) che non mangiava gli animali, anche se noi di nascosto facevamo il ragù. Una cosa divertente tra le molte successe è accaduta nel 2009, verso Natale. Nicola era in tour col suo gruppo, gli altri erano tornati tutti a casa e io ero rimasta sola con Alessio Bosi. Così pur di non chiudere abbiamo ‘schiavizzato’ un po’ tutti dietro al bancone. Risultato: per una settimana sapevi cosa ordinavi ma non sapevi cosa bevevi. Non che di solito fosse diverso… Io in realtà i cocktail li facevo come fossero degli esperimenti di chimica!”.

Foto di Lucia Ligniti

Lo Zuni di oggi, tra galleria e concerti. Irene Spagnolo e Matteo Andreolini sono i titolari del locale da tre anni. Matteo cura la parte espositiva delle mostre insieme a Silvia Meneghini, mentre ad Irene spetta la parte musicale, in stretta collaborazione con Nicola Marighelli, che organizza i concerti e spulcia tra le moltissime mail che arrivano ogni giorno. “Qui bisogna arrangiarsi – ci tiene a precisare subito Irene – così ci siamo subito distribuiti il lavoro, tanto che Matteo è diventato il bricoman, il tutto fare che pianta i chiodi per le mostre, stucca i muri e gestisce il bar e io invece sono la zdora di Zuni, perché cucino e faccio le pulizie”. Ora la tribù Zuni è diventata moltissime cose insieme: c’è la musica, c’è la cucina e c’è molto, molto altro.

Le mostre di Zuni nel tempo hanno cercato di specializzarsi ed ora vengono curate solo opere di grafica, illustrazione e fumetto. Da questa scelta sono arrivate anche le prime soddisfazioni, poiché Zuni è annoverata come una delle poche sedi fuori Bologna del Bilbolbul International Comics Festival. “Chiamiamo chi ci piace e non chiediamo una quota per partecipare, né una percentuale sulla vendita perché – ha precisato Matteo – non siamo galleristi. L’intento è quello di dare spazio a nuove realtà di questo panorama particolarmente in fermento, iniziando dall’anno scorso anche una produzione di stampe in serie”.

Per quanto riguarda la parte musicale, molti sono i dj set proposti e tanta è la musica di qualità che passa da Zuni. “Gestire la parte concerti non è facile subito – spiega Irene – cerchiamo sempre delle ‘bazze’, come i day off. Riceviamo pure un sacco di critiche perché non rispondiamo ai gruppi ferraresi che ci chiedono di suonare. Il nostro scopo è quello far sentire chi viene da fuori e gli artisti ferraresi potrebbero creare agganci invece di lamentarsi. Poi ci sono anche quelli che ci chiedono di suonare cover di Ligabue o la taranta, si può?! A parte questo sono molte le soddisfazioni e tanti i musicisti che si affezionano a Zuni tanto da voler ritornare appena possibile”.

Nell’ultimo anno poi, oltre all’immancabile cineforum in lingua originale e alle presentazioni di libri, hanno preso vita anche alcune collaborazioni di Zuni con gli studenti del Dosso Dossi e del Conservatorio, creando per i primi alcuni workshop di grafica e illustrazione, mentre ai secondi viene dato uno spazio per suonare e confrontarsi. Inoltre “da quest’anno è iniziato anche il corso di Inglese – racconta Irene – che prevede due ore alla settimana con Rhonda Turnbough, che ha un divertente approccio all’insegnamento di questa lingua. Una volta al mese è il turno del Garage sale, in cui il locale si trasforma in mercatino e chiunque sia socio Arci può avere una propria bancarella”. Un appuntamento ormai fisso della domenica mattina è il divertente e colorato Brunch, che a Irene – cuoca strepitosa! – piace tantissimo preparare.

Il “fascicolo” Zuni. Un’altra cosa di Zuni che si tramanda di gestione in gestione sono le proteste del vicinato alle autorità. Molto spesso locali come questo vengono presi di mira da residenti che non tollerano alcun tipo di rumore, né – sembrerebbe – di socialità. “Gestire i problemi di vicinato diventa un altro lavoro ancora” spiegano Irene e Matteo. “C’è infatti un clima di terrore per chi ha un locale, ma non è colpa nostra se uno vomita o scrive su una vetrina. L’unica risorsa che Ferrara può sviluppare è il turismo e noi con le attività che facciamo un certo numero di persone le smuoviamo. Nel nostro piccolo creiamo economia, lasciateci lavorare tranquillamente”.

Buoni propositi per l’anno nuovo, j’espère.

6 Commenti

  1. Simone scrive:

    Si scrive “arzdóra”. L’arzdor = reggitore, e l’arzdora = reggitrice

    • Anja Rossi scrive:

      Grazie Simone. Da veneto-svizzera quale sono, sto cercando da anni di cimentarmi nel ferrarese che – come tutti i dialetti, d’altronde – è un mo(n)do emozionante per scoprire il luogo in cui si vive. Ho sempre sperato di poter utilizzare quel termine in un qualche articolo e quando Irene lo disse ero felicissima. Dalle sue parole (verba volant, si sa) avevo colto lo avesse detto come l’ho scritto io. Ho controllato in un dizionario ferrarese e ho riportato quella dicitura, però ti ringrazio perché ora ho imparato qualcosa in più. 🙂

  2. Andrea Bighi scrive:

    Simone, è corretto anche źdόra. Complimenti ad Anja per l’articolo.

  3. Riccardo Petracchini scrive:

    In alcuni dialetti spesso si ha il fenomeno fonetico della caduta per aferesi di una vocale iniziale di parola.

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