Mi sveglio la mattina col cervello ancora incollato. Spengo la sveglia ogni due minuti una dozzina di volte prima di convincermi ad uscire dalle coperte. Appena metto il piede fuori un brivido gelido mi percorre di colpo e allora ricordo, vero, siamo già in dicembre.

Tiro la tapparella.

Attraverso il vetro appannato della finestra mi domando se si veda qualcosa o solo la nebbia che inghiotte tutto in un glauco nulla silente. Solo la voce che esce dai megafoni di una vecchia Uno rossa che invita tutti alla serata danzante della rivana rimbomba per strada. La macchina non la vedo, so che è rossa perché è sempre quella da quando ero bimbo.
Scrivo con il dito solcando la condensa una piccola lista di cose da fare, posti dove andare, dove probabilmente non andrò se mi invento una buona scusa.

Mia madre ha appeso in cucina il consueto calendario dell’avvento. Terribile monito dell’arrivo imminente del Natale e con lui tutta la baracca che segue. Mi ricorda che se fossi stato donna probabilmente a quest’ora avrei già tutti i regali per tutti, incartati, col fiocchettino, nascosti nell’armadio sotto le giacche fuori moda. Forse avrei pure qualche pacchetto in più, bonus, così…non si sa mai. Avrei già comprato tutto e tutto avrebbe avuto senso; vedi una cosa, pensi a Tizio e così gliela compri per Natale, anche se è maggio e Tizio ancora deve fare il compleanno e l’onomastico. Invece non ho comprato nulla e come al solito comprerò all’ultimo una valanga di candele, cornici ed eleganti profumatori per ambiente alla cannella e patchouli. Dovrò pure inventarmi un motivo per ogni mio regalo che scartano, “Una presina da forno con le scimmiette si…so che ti piace stare ai fornelli e allora beh…così non ti scotti.”, “una cornice con le conchiglie incollate sopra si…so che ti piacciono il mare e le foto…due piccioni con una fava!”, “uno specchio con sopra la fotina di Claudio Baglioni nell’ottantasei, si…beh…questo l’ho trovato in garage lo ammetto.”

Allora nella lista sul vetro che ormai sgocciola e non si legge più niente la voce –Regali rimane relegata all’ultimo posto, appena sotto –Farsi la barba.

Le prime due cose importanti sono –Andare in posta e –Fare la spesa.

Non so se si è capito ma d’inverno divento un mix tra un orso in letargo e il Grinch, supermercato e poste sono per me come un concerto degli Slayer per una suora di clausura, come entrare nel tunnel dell’autolavaggio in bicicletta.

La meno peggio delle due è fare la spesa, anche perché in dispensa sono rimasti solo gli ovetti al cioccolato e la confezione di gallette di riso aperta a metà che dopo un giorno erano già sguegne.

Sportoni in macchina mi avvio all’ipermercato-vaudeville natalizio in subbuglio e gorgoglio.
Le macchine sono parcheggiate in tripla fila fino all’altro supermercato, tripla fila al quadrato se conti anche il negozio dei cinesi a lato.

Per entrare ci sono i bagarini che ti vendono il carrello, gli ultimissimi a due euro.
Attraverso le magiche porte automatiche e mi ritrovo immerso nel villaggio dei folletti natalini.

Da meno un grado dell’esterno a venticinque dentro si appannano gli occhiali in meno di un secondo. Rimango immobile fino a che non torno a vedere. Dentro l’ipersupermercato file su file di corsie, intasate da carrelli e persone. Qualche coraggioso prova a fermarsi alla promozione del caffè ma viene travolto dai dipendenti da Simmenthal che è proprio la corsia dopo e non si può aspettare.

Mi sale l’ansia. Scappo.

Attraverso il marasma a spintoni, schivo il tizio vestito da arbitro che vuole vendermi le solette ammortizzanti e lo spray antipuzza, dribblo a sinistra i ragazzi del satellitare ma mi intrigo nella coda per impacchettare i regali. No! Ho ancora un sacco di tempo per i regali!!

Fuggo.

Mi metto a correre spingendo avanti a me il carrello, ovviamente però ha una ruota davanti che va storta e mi manda a sbattere dritto dritto contro i mobili d’epoca in esposizione. L’effetto domino che li schianta uno ad uno al suolo distrae tutti, il diversivo che aspettavo per avere la possibilità di filarmela. Le porte si aprono e una folata di vento umido mi blocca il respiro mentre capitombolo fino alla macchina.

Il carrello me lo butto in baule, lo incastro per bene, abbassando tutti i seggiolini, così almeno la prossima volta sono sicuro che ce l’ho e non devo chiederlo ai bagarini.

Pazienza per la spesa, mangerò gallette di riso sguegne per un po’, almeno finchè non finiscono.

Domani vado alle poste. Aiuto.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.