Teatro ancora vuoto, allestimenti terminati, particolari rossi accuratamente sistemati ai vari angoli del teatro. Si, perché il rosso è il colore del sangue, ma è anche il colore della rabbia delle donne, donne che si ribellano ad un fenomeno che non accenna a diminuire.

E poi Lei, alta, ricci folti, prepotenti, biondo-rame, sorriso spontaneo e una classe non comune, una classe che denota una gran personalità, carattere ed esperienza, e allo stesso tempo semplicità e spontaneità.

E’ Orsetta De Rossi, attrice nonché portavoce, assieme alle altre attrici che compongono il cast – Lella Costa, Rita Pelusio e Giorgia Cardaci – dello spettacolo “Ferite a Morte”. Scritto e ideato da Serena Dandini con la collaborazione della ricercatrice del CNR Maura Misiti, lo spettacolo è andato in scena al Teatro de Micheli di Copparo sabato 23, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

Così Orsetta ci ha presentato lo spettacolo e le tematiche che tratta.

Com’è strutturato lo spettacolo e qual è l’effettivo intento?

Lo spettacolo Ferite a Morte nasce da un’idea di Serena Dandini, già autrice dell’omonimo libro, con l’intento di raccontare in chiave teatrale stralci di vita di donne violate, donne ferite, donne uccise per mano di uomini. E’ una sorta di antologia (loro del cast la amano chiamare uno Spoon River) di storie di morte vere o verosimili, raccontate con quella fermezza e verità disarmanti, ma anche quell’ironia e quasi comicità, che solo grandi donne attrici e interpreti riescono a portare su un palcoscenico. Molte e diverse le donne rappresentate, giovani, anziane, donne in carriera, prostitute, casalinghe, badanti, italiane e straniere, vicine e lontane e…nessuna si salva.

Ci sono molte tipologie di violenze, ci sono violenze più pesanti e altre più leggere ma altrettanto devastanti.

Quella raccontata è la voce di chi non ha potuto esprimere il proprio dolore fisico e psicologico, le proprie difficoltà e angosce, per paura, per impossibilità, per incapacità di capire, per forza.

Perché si è sentita l’esigenza di uno spettacolo teatrale per sensibilizzare su questo tema? Come, il teatro, può essere un mezzo per sensibilizzare? Che cosa apporta più degli altri canali di comunicazione?

Il teatro trasmette empatia, e la trasmette in modo estetico ed emotivo, è un affronto diretto, di persona, che ti coinvolge e ti porta a guardare anche quel che abitualmente eviti di vedere. Difficilmente puoi scappare o ti puoi nascondere. Non puoi “cambiare canale”, non puoi “cambiare sito”. In teatro succede sempre qualcosa di speciale, di profondo, da entrambe le parti.

“Ferite a Morte” racconta quello che gli articoli dei giornali non raccontano, va oltre la cronaca nera, per raccontare le storie, le emozioni, i dubbi, le paure, le contraddizioni delle vite delle donne vittima di violenza.

Foto di Francesca Mascellani

Che cosa significa e ha significato per te interpretare il ruolo di una donna vittima di violenza?

Chi è sul palco per interpretare “Ferite a Morte” fa “un passo indietro” perchè per rappresentare un dramma così profondo e intimo, sul palco non è più solo un’attrice, ma è una donna violata che con grande sforzo cerca di esternare e raccontare la sua storia e il suo dolore.

E’ un ruolo importante, un bel peso da portare sulle spalle, un ruolo che mi fa sentire utile e che ci lega profondamente anche come cast.

Poi in sala spesso ci sono anche uomini, e ciò rende il mio lavoro, ancora più complesso e più difficile, perché vuole arrivare anche e soprattutto a loro, a chi dovrebbe sentirsi colpito in quanto genere.

Al proposito di uomini, come mai, secondo te, sono sempre le donne ad attivarsi contro la violenza di genere, quando dovrebbero essere gli uomini a sentirsi colpevoli?

Credo che sia la domanda che rimane ancora aperta. Io credo che vigliaccheria e machismo siano ancora molto radicati nella cultura del XXI secolo in tutto il mondo. Una cultura molto maschilista che si è vista sopraffare negli ultimi anni da donne che “li stanno superando”, da donne “che iniziano a ribellarsi”, da donne “che chiedono e alle volte ottengono il riscatto e il rispetto dei loro diritti”. E in quanto uomini si sentono persi perché privati di parte del loro potere, e l’unico potere che rimane è quello della forza fisica e del possesso.

E’ stato semplice trattare una tematica normalmente raccontata in modo drammatico, in chiave anche ironica o a volte addirittura comica, senza perdere però la capacità di sensibilizzare?

“L’ironia è l’unica cosa che ci potrà salvare!”. Parlare di questi temi con ironia ha un senso e un obiettivo forti, quelli di spiazzare, perché proprio non te lo aspetti di sentire raccontare storie così crudeli e allo stesso tempo riuscire a sorridere. Lo spettacolo poi è strutturato su due livelli, un livello molto crudo in cui le storie vengono rappresentate così come sono, crude e dure, e un livello più soft in cui l’ironia fa da padrona e riesce a raccontare anche quei risvolti ai quali normalmente non si dà alcuna importanza e che invece caratterizzano il carattere, la personalità, le vite di queste donne.

Non c’è vittimismo nelle donne raccontate, spesso tendono a giustificare, finendo così in una vera e propria schiavitù psicologica oltre che fisica. “Esiste un uomo adatto? Ci si adatta!” dice una delle donne raccontate nello spettacolo.

Il silenzio delle donne ci descrive una società che non sa dare risposte adeguate, in cui la donna non riesce a trovare l’aiuto che cerca, il supporto di cui necessita. “E’ una vita che ci insegnano ad assecondarli, ora che ci insegnino a difenderci e a fermarli”.

Pensi che il tour di questo spettacolo abbia portato a una maggiore coscienza del problema?

Innanzitutto da quando esiste questo progetto, molte donne ci hanno detto di essersi sentire meno sole, di essersi sentite in parte raccontate, di aver trovato il coraggio di riscattare la loro situazione.

Il Progetto va oltre i due tour nazionale e internazionale dello spettacolo teatrale, iniziato con un reading a Palermo il 24 novembre 2012 nel quale hanno dato la loro voce donne conosciute del mondo della letteratura, dello spettacolo e della cultura, estendendosi a un blog e a un sito web.

Inoltre, i teatri, sempre sold out in tutte le città italiane, raccontano un’Italia che inizia ad interessarsi, un’Italia che vuole vedere quello che fino ad ora si tendeva a nascondere.

E’ un progetto in continua evoluzione e che richiede un passaggio di mano tra donne. Sarebbe bello che terminati i tour che stanno portando lo spettacolo in giro per tutta Italia e nel mondo, altre donne prendessero  a cuore la tematica e se ne facessero carico in prima persona raccontando le “ferite” attraverso il teatro e non solo.

Sono state firmate negli ultimi anni alcune convenzioni contro la violenza sulle donne (basti pensare alla Convenzione di Istanbul, alla Convenzione No More!), così come è stata istituita nel 1999 la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Ma da allora ad oggi cosa abbiamo concretamente ottenuto? 

Io credo che purtroppo il femminicidio non sia più un’emergenza occasionale ma è diventata cronica e come tale va affrontata. Credo che la firma delle convenzioni e l’istituzione di giornate speciali servano per stimolare l’interesse della società, perché se ne parli. Abbiamo un bisogno spaventoso di parlarne, in una cultura ancora molto basata sul maschilismo, vi è la necessità forte di mettere in luce il disagio della donna ferita, violata, uccisa spesso per mano di uomini vicini, con i quali ha condiviso gioie, affetti, dolori.

Negli ultimi anni se ne parla molto di più rispetto ad un decennio fa, molte iniziative si sono attivate, come la rete dei centri antiviolenza che si sta costituendo proprio in questi ultimi anni.

Ma bisogna fare molto di più. Si deve passare dalle parole ai fatti, tutti, non solo le donne. C’è una necessità forte che gli uomini ci aiutino in questo, che si interessino attivamente.

 

Ho salutato e ringraziato Orsetta con questo monito: credo che sia nostro dovere cercare di non trasformare il 25 Novembre Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne in un nuovo 8 marzo. Non interessa a nessuno se poi non lascia posto a pensieri ed azioni nuove.

Intanto il teatro si è riempito e Lella Costa ha aperto così Ferite a Morte: “Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti, l’ha detto mia mamma agli inquirenti, avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti. Era lì che fumava vicino al caminetto e non ce ne siamo accorti, avevamo il mostro proprio in casa e non ce ne siamo accorti, guardava la partita e non ce ne siamo accorti. Ma neanche mio marito se n’era accorto, dico, lui che aveva proprio il mostro dentro non se n’era accorto, poveraccio, c’aveva sempre da fare, avanti e indietro con il Pandino, anche quando m’ha messo incinta per la terza volta non se n’è accorto. Di figli ne ho solo tre: uno l’ho perso appena nato e l’altro mi è rimasto in pancia sette mesi e non è più uscito. Sono morta prima”.

“Ferite a Morte” dopo aver fatto tappa a Washington, sarà oggi 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, a New York e contemporaneamente, su invito della Presidente Laura Boldrini, alla Camera dei Deputati a Roma.

Per approfondimenti: www.feriteamorte.it

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