Incontriamo Chiara Nielsen, direttrice del Festival di Internazionale e vicedirettrice dell’omonima rivista e Luisa Ciffolilli della segreteria organizzativa, per parlare di Ferrara, della rivista, del mondo del giornalismo e di uno splendido rapporto che si è venuto a creare qui anno dopo anno, in un appuntamento ormai imprenscindibile tanto per questa città quanto per molti giornalisti e lettori.

Quest’anno ricorrono vent’anni dal primo numero di Internazionale, in un crescendo di successo ed apprezzamento del pubblico. E’ una rivista ancora simile all’impianto originale nonostante il mondo del giornalismo sia radicalmente cambiato nel mentre?

Vent’anni sono tanti in assoluto per un giornale e lo sono a maggior ragione vista la trasformazione che sta vivendo il mondo dell’informazione. La rivista è cambiata molto: io faccio parte del gruppo dei fondatori e quando abbiamo iniziato eravamo in 4, poco più che ventenni senza esperienza nel settore a parte il direttore che era già giornalista. All’inizio si fa tutto come sempre con curiosità e passione, noi stessi eravamo i lettori ideali di Internazionale, volevamo fare un giornale che piacesse a noi per primi. All’epoca la stampa straniera non esisteva quasi ma già dai primi numeri abbiamo toccato temi importanti come il primo grande accordo che ha segnato la nascita della globalizzazione economica, l’accordo del GATT per la liberalizzazione delle tariffe per il commercio. Ci siamo aperti al mondo esterno, c’era necessità di farlo. Non esisteva internet ad esempio e usavamo i fax… ci arrivavano i rotolini dalla Costa d’Avorio con i pezzi!

Nonostante questo riuscivate ugualmente a mettere insieme un numero a settimana.

Si, Internazionale è sempre stato settimanale e lavorando 12 ore al giorno riuscivamo a completare il lavoro, impaginato tutto in bianco e nero. Poi sono arrivate le foto, internet e tutto il resto a semplificarci la vita. A quel punto però è subentrata la crisi della stampa, che per noi può essere anche una risorsa: raccogliamo ogni settimana il meglio dei giornali da tutto il mondo, siano essi su carta sul web o in altre forme. Le fonti si sono moltiplicate, seguiamo i blog ad esempio, anche se non sono testate ufficiali. Viviamo nuove sfide, come possono essere magazine online come il vostro: tra dieci anni sarà quasi tutto sul web e le riviste di carta saranno poche ma per forza di qualità.

Aggregare contenuti e saperli riproporre in maniera organizzata e coerente è un lavoro ingente da svolgere in una settimana: in quanti lavorate ad ogni numero?

Una trentina in redazione, ma non tutti lavoriamo sul settimanale, c’è anche chi si occupa del festival come me e Luisa Ciffolilli, c’è chi segue il web, i traduttori… Siamo divisi per continenti ed argomenti e da questi settori poi dipendono altri corrispondenti dall’estero. I pezzi sono scritti ovviamente da redattori di altre testate, poi da noi selezionati, tradotti e sistemati. Ogni numero di Internazionale è diviso in due blocchi: la parte calda che rimane sempre sul pezzo e per la quale gli articoli sono scelti il lunedì mattina e lavorati entro il mercoledì, ed una fredda con tempi di realizzazione intorno alle due settimane. C’è una grande cura dei testi in italiano: la traduzione dev’essere scorrevole e vanno “italianizzate” espressioni gergali o stili differenti, così che chi legge abbia la sensazione che sia un testo realmente italiano. Sfogliando la rivista non deve sembrarti un patchwork di varie cose ma vogliamo che ci sia uno stile omogeneo tra i vari articoli. Altrimenti sarebbe una semplice rassegna stampa, cosa che non ci interessa fare.

Dicevi del vostro lavoro di organizzazione del Festival durante tutto l’anno. Quanto tempo prima si inizia a prendere contatti con i partner strategici qui a Ferrara?

Ci si vede dopo il festival per fare il punto di com’è andata questa edizione ed impostare il lavoro per l’anno seguente. Poi fino a gennaio si studia e si legge molto, si cerca di capire quali sono i temi da sviluppare, quali i giornalisti da seguire, i libri e le pubblicazioni da tenere d’occhio. Da gennaio si fanno i primi inviti, e a primavera si definiscono quasi tutti gli eventi così da comporre il palinsesto. Inizia quindi la parte logistica con l’aiuto di Arci Ferrara e del Comune… si cerca di capire gli spazi a disposizione, che crescono di anno in anno, cosa che ci rende molto felici.

Da chi è partita l’idea di organizzare il Festival, perché ad un certo punto si è sentita questa esigenza e come mai proprio a Ferrara?

L’idea è stata dell’ex sindaco di Ferrara Gaetano Sateriale che è venuto letteralmente a bussare alla nostra porta in redazione, proponendoci di fare un festival in questa città per far incontrare lettori e giornalisti di Internazionale…

Foto di Lucia Ligniti

Non c’erano eventi analoghi in quel momento in Italia?

Nel 2007 no, escluso il Festival di Perugia che però non è legato ad una testata precisa. Ora i giornali hanno capito che è un momento importante per stringere legami con i propri lettori. Ricorderò sempre un pomeriggio alla Sala Estense durante la prima edizione, c’era un incontro sull’America Latina e vidi una fila che addirittura superava lo spazio a disposizione girando l’angolo… uno spettacolo incredibile! Siamo contenti di poter conoscere i lettori e ci siamo accorti che anche fare la coda per loro diventa un modo per socializzare, per venire a contatto con persone con interessi simili. Siamo molto colpiti dalla qualità del pubblico, che è molto giovane e motivato, non solo addetti ai lavori o aspiranti giornalisti…

Non vi sorprende che ci siano così tanti ragazzi interessati al giornalismo in un’Italia come quella che viviamo oggi? E’ senz’altro un bel segnale. Confortante.

E’ la grande risposta a chi dice che i giovani sono disimpegnati, e bisogna dargli intrattenimenti più frivoli, invece se non li trattiamo da eterni minorenni si scopre che sono pieni di voglia di capire, di analizzare. Il livello delle domande è altissimo, migliaia di persone fanno la fila per una conferenza sulla Birmania, che uno dice: la Birmania? Davvero? Studi scienze politiche? Macchè. Non è che i ragazzi non hanno più voglia di impegnarsi e fare politica, forse è questa politica che non è interessante per nessuno, nemmeno per chi giovane non lo è più.

Cosa ti piace e non ti piace di questa città dopo diversi anni che venite qui in ottobre? Certo, è un momento in cui Ferrara può sembrare affollata rispetto altri periodi dell’anno… quasi caotica secondo alcuni!

Caotica? Noi abitiamo a Roma, che vuoi che sia!

C’è sempre il solito ferrarese che si infastidisce quando trova la piazza e le vie del centro invase da forestieri…

Per noi la dimensione del centro è ideale, si gira a piedi ed è vivibile, civile. Le istituzioni dal nostro punto di vista funzionano bene, il nostro “braccio armato” dell’Arci è molto efficiente. Lo dico sempre a costo di essere ripetitiva, ma questo Festival non esisterebbe se non fossimo accompagnati da Arci e Comune. E’ un’opera collettiva, noi ci mettiamo i contenuti discutendoli con gli altri partner, ma senza questa accoglienza degli interlocutori locali non si potrebbero montare palchi, gestire le file… Quindi il nostro parere su Ferrara è completamente positivo e tutti gli ospiti che vengono ce lo confermano. Difetti? Forse la nebbia…

Peraltro questo aiuta a portare il nome di Ferrara in giro per l’Italia: il Festival è l’evento che richiama più turismo in città durante l’anno rispetto altri appuntamenti con utenze più “mordi e fuggi”: gli alberghi sono tutti pieni, i negozi tengono aperto fino a tardi, si può davvero parlare di indotto.

A noi piacerebbe molto entrare nel tessuto della città e già la cosa è cominciata con varie collaborazioni, dall’università al programma partecipato… Credo sia giusto che se facciamo il festival in una città, quella città lo sente come suo. Proponiamo anche cose che possano interessare a livello più generale per chi di solito non partecipa al Festival: ad esempio quest’anno l’incontro con il Presidente del Senato Pietro Grasso.

Gli appuntamenti di questa edizione 2013 sono davvero tantissimi, ed anche il programma partecipato cresce sempre di più con molte realtà locali. Non si corre il rischio che troppe cose in contemporanea si cannibalizzino a vicenda?

Non si può seguire tutto, uno deve farsi un suo percorso di cosa vuole seguire. Gli eventi partecipati sono liberi e gestiti a livello locale. La moltiplicazione degli eventi fino ad oggi è stata anche una risposta alle file: magari non riesci ad entrare ad un evento cui tenevi molto e hai l’occasione di visitare qualcos’altro di sorprendente e ugualmente interessante. Capisco sia una magra consolazione per chi sta in fila ma a volte la casualità nella vita ha un senso e si scoprono cose nuove proprio in questo modo. E’ bello venire a Ferrara quasi a scatola chiusa, scegliersi le cose imprenscindibili per le quali farsi le code e lasciarsi andare sul resto… Mi piacerebbe che questa casualità fosse addirittura valorizzata.

Anche il programma principale è cresciuto? Il libretto sembra lievitare ogni anno.

Quest’anno ci sono circa 150 appuntamenti, il 30% rispetto l’anno scorso, poi 11 workshop, laboratori per bambini… Sono aumentati gli audiodocumentari, ed abbiamo creato questi incontri chiamati “In redazione”, dove i redattori raccontano il dietro le quinte del giornale, gli strumenti del mestiere del giornalista, qualcosa di poco conosciuto e di sicuro interesse per molti lettori.

Altre novità di quest’edizione?

Una novità tecnica che ci fa molto piacere è che in tutti gli eventi gli ospiti internazionali parlano la loro lingua e vengono tradotti simultaneamente, ma in quattro eventi ci sarà una traduzione in tempo reale nella lingua italiana dei segni, grazie all’interessamento di realtà locali, forse per la prima volta in un festival. Abbiamo poi sperimentato con successo l’idea del Processo, quello sull’Europa di venerdì ad esempio coinvolge i ragazzi dei Licei cittadini ed è una formula che rende più partecipe il pubblico rispetto le tavole rotonde che hanno un format più logoro.

Vedete un futuro per questo Festival a Ferrara oppure con il tempo diventerà ingestibile un evento di tale portata in una città di provincia?

Non abbiamo nessuna intenzione di spostarci da Ferrara. L’alchimia che si è creata qui non l’abbiamo ritrovata altrove, e al di là del problema delle risorse economiche limitate da parte nostra e del Comune forse l’unico peccato resta lo scarso coinvolgimento nello sforzo economico da parte delle realtà produttive locali. Quest’anno ci sono stati dei primi segnali e siamo contenti: ci piacerebbe che il festival venisse percepito anche come un risorsa per la città, che crea indotto e non soltanto successo per noi come rivista. Apprezzo l’appello del Comune per scuotere le realtà locali: fate anche voi la vostra parte! Forse devono ancora rendersi bene conto di quali opportunità hanno in mano, ma capiamo quanto sia difficile in una piccola città convincere un negoziante ad acquistare uno spazio pubblicitario o fare un piccolo investimento per partecipare al Festival. Per noi farebbe la differenza perché abbiamo molti costi fissi, anche solo per movimentare ospiti internazionali.
C’è comunque una congiunzione astrale favorevole qui: funziona la città, funzionano i partner, le distanze tra i luoghi e le loro dimensioni sono perfette per questi eventi. Il Festival non diventerà mai troppo grande, siamo già ai suoi limiti naturali ed è bello rimanga così, perfettamente ritagliato e pensato per il centro storico di Ferrara.

4 Commenti

  1. Davide scrive:

    Il centro di Ferrara non è piccolo anzi, è uno dei più vasti d’Europa. Così come la città non è di provincia. Ma se ragioniamo sempre così ci si convince anche che lo sia…

  2. Sara scrive:

    Spesso festival così importanti si svolgono in grandi città: Francoforte, Amburgo, Roma e così via. In questo senso il centro di Ferrara è decisamente più modesto ed è questa la sua forza.

  3. Emanuele Olmi scrive:

    Saluto la mia amica Chiara Nielsen, di cui ho appena visto eletto le interviste.
    Chiara, mi piacerebbe molto incontrarti!
    Emanuewle Olmi

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