Ancora una volta Palazzo Diamanti porta a Ferrara la pittura spagnola di altissima qualità. Negli ultimi anni, dopo la importantissima e splendida mostra monografica su Mirò nel 2008 e l’innovativa mostra del 2012 dedicata a Sorolla, la Fondazione Ferrara Arte, in collaborazione con il Centre for Fine Arts di Bruxelles, porta nella città estense un altro grandissimo artista iberico: Francisco de Zurbarán (1598-1664). 

Per la prima volta si tiene in Italia una mostra monografica dedicata al grande artista del Siglo de oro. Scelta coraggiosa, come le ultime del resto, della Fondazione che ci permette di avere un’esaustiva visione d’insieme del corpus artistico di quello che è stato lungamente ricordato dalla critica come il “Caravaggio Spagnolo”.

Zurbarán insieme a Velázquez è stato uno dei più grandi esponenti dell’arte pittorica spagnola del XVII secolo, grazie ad uno stile estremamente moderno dal naturalismo asciutto e monumentale. Sicuramente è riuscito ad interpretare al meglio lo zeitgeist del suo tempo, grazie a potenti immagini quotidiane e visionarie legate al fervore religioso, non scevre di una certa intimità; tant’è che le sue tele sono state d’ispirazione, dall’800 in avanti, per numerosi artisti, dai Romantici a Manet, e persino fino a Morandi, Dalì e Picasso.

Cosa ci dobbiamo aspettare da questa importantissima mostra?

L’idea di una mostra monografica dedicata al pittore nasce durante una visita al Museo del Prado di Madrid nel periodo dell’innovativa mostra di Chardìn ai Diamanti nel 2010, ci spiega la dottoressa Maria Luisa Pacelli, Direttrice delle Gallerie Moderne e Contemporanee, poi interviene il curatore della mostra Ignacio Cano, che, in spagnolo, inizia a raccontare della straordinaria opera di Zurbarán, dell’innovazione assoluta della sua pittura che partendo da alcune influenze dell’arte medievale europea, si evolve, muta fino a divenire un unicum. Nessun contemporaneo, infatti, riesce ad arrivare alla libertà stilistica assoluta del pittore spagnolo: Zurbarán adatta, attualizza ed inventa una vera e propria nuova iconografia, arrivando a creare geniali e suggestive commistioni tra scene religiose e scene domestiche (come nelle splendide opere di Sala 9, con una passione di Cristo assolutamente allegorica e quotidiana, una moderna Cena in Emmaus e persino una Vergine bambina in abiti seicenteschi).

Cano ci spiega che l’artista era abituato a considerare i soggetti umani e gli oggetti sullo stesso piano, entrambi capaci di veicolare sensazioni ed emozioni: ne sono un esempio le due nature morte presenti in mostra, genere veramente insolito per Zurbarán che ne annovera solo cinque in tutta la sua produzione. Egli riesce a donare veramente un’anima agli oggetti e in alcuni casi una caraffa può quasi comunicare di più di un essere umano. Le opere in mostra sono 49 e seguono un andamento cronologico di sala in sala, anche se non mancano alcune sale squisitamente tematiche, come quelle dedicate alle nature morte, quella relativa alla mistica del quotidiano e le sale dedicate alle opere di corte e a quelle destinate al Nuovo Mondo. Queste ultime forse meritano un discorso a parte e Ignacio Cano con entusiasmo ci racconta che a partire dagli anni 40 del 1600, Zurbarán dimostra grande spirito imprenditoriale e decide di iniziare la realizzazione di alcune opere di grandi dimensioni destinate all’America del Sud, per le quali decide di attuare un innovazione del processo artistico e crea delle vere e proprie obradores, delle botteghe dove suoi allievi possono aiutarlo nella realizzazione di queste grandi opere pittoriche. Curioso è che si faccia molta fatica a distinguere la mano del maestro da quella degli allievi, ma questo non impensieriva Zurbarán per il quale l’importante era che l’opera finita rispecchiasse l’idea creativa della bottega in generale.

Foto di Andrea Bighi

Proseguiamo poi la visita guidata tra scene evangeliche domestiche e le opere realizzate per la corte di Filippo IV nel Palazzo del Buen Retiro a Madrid (le dodici fatiche di Ercole di cui due sono presenti in mostra) fino ad arrivare alla Sala 9 con opere di grandi dimensioni tra cui  il “volto” della mostra la splendida Santa Casilda”, abbigliata con meravigliosi e preziosissimi abiti dell’epoca e splendidi gioielli. In questa sala più che in molte altri si capisce il concetto di atemporalità che permane in tutta la produzione di Zurbarán: ci sono santi dai volti realistici, quasi ritratti, in abiti moderni, personaggi tipici della letteratura medievale spagnola e persino i figli di Giacobbe. In questa sala abbiamo anche il tempo per il divertente aneddoto rocambolesco accaduto a molte di queste opere destinate all’aristocrazia emergente dell’America del Sud. Durante il viaggio in nave dalla Spagna, le imbarcazioni che portavano le opere furono assalite da pirati inglesi e quindi non raggiunsero mai il Nuovo Mondo, poi ricomparvero nel 1700 in Inghilterra e da li non si mossero più.

Prima di visitare le ultime due sale della mostra, abbiamo il tempo di ammirare le particolari opere presenti in Sala 10, cioè una natura morta raffigurante un agnello in cui il confine tra sacro e profano non è ben chiaro e definito come in molta della sua produzione religiosa, un incredibile Cristo in croce raffigurato senza una goccia di sangue addosso (elemento distintivo del pittore iberico che tornerà anche in altri crocifissi) e il Volto Santo, opera in cui in una splendida tecnica trompe-l’oeil il volto di Cristo è raffigurato insolitamente di tre quarti sul Velo della Veronica.

Anche in Sala 11 le curiosità non finiscono e troviamo due opere molto importanti: una delle quali è il Cristo crocifisso con un pittore”, assolutamente particolare per la composizione che presenta scale differenti tra l’uomo e Cristo il quale non si riesce a definire se sia reale, un dipinto nel dipinto o una statua nel dipinto. La vera e propria sorpresa della mostra è però “La visione di San Giovanni Battista” opera che compare per la prima volta in una mostra, recentemente riscoperta in una collezione privata di Madrid, un dipinto unico che dimostra la grandissima capacità del pittore di tratteggiare anche paesaggi, qui impreziositi da un affascinante crepuscolo.

In Sala 12 si conclude in grande stile, con un’altra opera di assoluto rilievo: è l’ultima commissione monastica di Zurbarán, il San Nicola di Bari (1658-1660) opera estremamente complessa per la costruzione poiché rappresenta sulla stessa scena un’immagine del santo, un dipinto nel dipinto e un paesaggio collinare fuori dalla finestra, tre dimensioni differenti per un’unica opera.

Come un ideale e immaginifico viaggio attraverso le scelte artistiche di Zurbarán tramite una serie di capolavori, provenienti da importanti musei e collezioni private, ripercorreremo sala dopo sala nella splendida cornice di Palazzo dei Diamanti, l’intera carriera artistica del pittore originario dell’Estramadura. La sua pittura si distingue tanto per l’abilità nel definire i volumi nello spazio e l’incidenza della luce, che per il gusto dell’astrazione e della semplificazione, giungendo all’essenza delle cose attraverso una visione lucida e cristallina della realtà. Visioni estatiche e travolgenti, scene quotidiane pervase da un potente misticismo e realismo, soggetti religiosi, soggetti mitologici, temi allegorici e straordinarie nature morte, luminismo drammatico e contrastato della corrente del tenebrismo ispirata a Caravaggio (come nel San Francesco in Sala 3, grandiosa e tenebrosa rivisitazione agiografica del santo, dove a farla da protagonista è la luce che modella e costruisce volumi oppure anche la Cena in Emmaus del 1639), i contatti con Velázquez, e le atmosfere più chiare, tra scorci e dettagli domestici.

Negli ultimi sei-sette anni, Ferrara Arte, è stata accusata di fare mostre “facili” e di facile fruizione per il grande pubblico, invece a mio personale giudizio, a parte alcuni solidi blockbuster come “Mirò: La Terra” del 2008, le due mostre dedicate a Boldini (rispettivamente nel 2009 e nel 2012), la splendida “Gli Anni Folli” del 2011, che hanno comunque dato estremo lustro e prestigio alla nostra città, ritengo che la Fondazione Ferrara Arte sia andata oltre, osando, nonostante le difficoltà, nonostante i cambiamenti e nonostante i terremoti. Ci ha dato la possibilità di ammirare un incredibile Turner che ha avuto la capacità di farci re-innamorare dell’artista inglese anche senza la presenza delle sue opere più celebri, ci ha dato la mostra di nicchia con le incisioni di Morandi, ha sperimentato pesantemente portando in Italia una parte della splendida collezione della Galleria Privata di Aimè Maeght di Saint-Paul de Vence e ci ha stupiti, piacevolmente, con due mostre difficili come quella dedicata a Chardìn e quella, già citata, dedicata a Sorolla, che hanno avuto l’immenso pregio di portare ai nostri occhi capolavori sconosciuti di questi due autori che nel nostro paese non avevano mai avuto la possibilità di farsi conoscere.

Ancora una volta questo autunno Ferrara Arte stupisce, e ci porta un’altra eccellenza, Francisco de Zurbarán, un artista che finalmente meritava la vetrina prestigiosa di un’importante mostra come quella che inizierà il 15 Settembre nella splendida cornice di Palazzo dei Diamanti. Sicuri del successo di questa monografica ce ne andiamo con un occhio e la mente già puntati all’incredibile mostra su Matisse che ci accompagnerà da Febbraio a Giugno.

1 Commento

  1. Matteo scrive:

    Articolo molto interessante ! Visiterò la mostra! Complimenti ad Alberto Amorelli!

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