Scrivere di moltitudine, densità e diversità non è cosa semplice e scontata. Come un viaggio in una città che sale, così è la mia esperienza ai Grattacieli di Ferrara.

“Ti piace vivere ai Grattacieli?”

“Si, sono affezionato a questo posto. Ho abitato prima in altri appartamenti della città e la cosa che più mi infastidiva era che non mi sentivo mai libero di fare quello che volevo. Quelle palazzine mancavano di privacy, la privacy e la libertà che invece ho qui. Di entrare e uscire quando e con chi voglio senza avere sempre addosso gli occhi giudicanti dei vicini. Si sta bene qui, sono a due passi dalla stazione ferroviaria e ciò costituisce per me una comodità per quando voglio muovermi al di fuori delle mura cittadine. Sono a tre passi dal centro storico, ho sotto casa un grande giardino, vicini rispettosi, affitto basso … cosa potrei voler di più!?”

E’ la risposta alla mia semplice domanda di un cittadino italiano che vive dal 1971 nei Grattacieli.

Mi spiega che abitando ai piani bassi non ha mai sentito troppo il peso dei debiti che impediscono manutenzione, illuminazione e altre gestioni all’interno delle torri. Mi racconta che qui le persone cambiano, per cui un legame è difficile da instaurare. Lui conosce i sui vicini di piano, e alcuni di quelli del piano superiore. Ci si aiuta quando c’è bisogno, ma non c’è quasi mai uno scambio culturale. Ognuno rimane nella sua isola e lo scambio diventa pressoché impossibile.

Pregiudizi, culture molto differenti tra loro, paure, irregolarità impediscono che qui si instaurino legami sociali interculturali, anzi alle volte fanno si che anche dove esistono si disgreghino.

ESPERIENZA SPAZIO. Quando lo spazio viene addomesticato per creare identità.

Classe ‘50. Costruiti con una precisa idea di città moderna e funzionalista, i Grattacieli sono stati presto investiti da imprevisti e accelerati processi di turn-over di abitanti e ora ospitano persone completamente diverse da quelle per cui erano stati concepiti originariamente.

Inaugurati nei primi anni ’60, costituiscono la “porta urbana” per chi entra dalla stazione ferroviaria e sono stati costruiti in altezza perché era l’altezza che in quegli anni indicava “modernità”, “avanguardia”, “futuro”, forse con l’intenzione di farli diventare il “salotto buono della città”, o forse come esempio di “edilizia popolare all’avanguardia”.

Ciò che importa è che hanno iniziato a vivere a fine anni ‘70, con l’arrivo degli immigrati, diventando la loro grande risorsa in città. Nati come “macchine per abitare”, pretendevano di “fare società” soltanto attraverso la forza della loro concezione architettonica e non attraverso ciò che al loro interno si andava a vivere.

Oggi a Ferrara il mondo con tutte le sue diversità è racchiuso qui.

C’è chi, con un occhio superficiale, vede 2 torri, oltre 200 appartamenti, circa 90 metri di altezza, 20 piani, quasi 30 nazionalità e tante religioni diverse, circa 900 mq di suolo occupato, antenne e parabole ovunque, alcune attività commerciali, diverse associazioni di volontariato, un centro di mediazione, un punto d’ascolto, una sala polifunzionale, una chiesa evangelica e una nigeriana, una cappella cattolica, un giardino di oltre 11.000 mq, 2 bar e una palazzina signorile alla base.

Ma uno sguardo più attento può vedere oltre l’immagine di anomia e svuotamento sociale di cui spesso sono investiti questi luoghi. Sa vedere nuovi processi di addomesticamento dello spazio, forme nuove di “fare casa”, una pluralità di usi e sensi del luogo, formali e informali, battaglie e conflittualità, esclusione e (auto)segregazione, che fanno di questo luogo un luogo pieno di identità.

Quando arrivi in prossimità dei grattacieli la prima cosa che noti è che sono alti, più di quanto sembrasse vedendoli da lontano. Sono alti, imponenti e colorati.  Apparentemente uguali, aggirandoli, ci si accorge come ciascun lato abbia sue caratteristiche particolari.

C’è il lato delle vecchie attività, ora chiuse che lasciano spazio ad una serie di locali vuoti che affiancano uno degli ingressi principali delle torri. Ora sono utilizzati come depositi o in attesa di nuova vita. C’è poi il lato delle associazioni, del centro di mediazione, del punto d’ascolto e della sala polivalente, un lato che cerca di tendere una mano in favore di chi lì ci abita. Sul retro un lato “morto”, sovrastato dal blocco di cemento che unisce le due torri in un’unica struttura, “morto” se non fosse per la chiesa evangelica cinese molto attiva e frequentata da abitanti e non. E infine il lato dei negozi: una fumetteria, una macelleria islamica, un barbiere in prossimo arrivo, un’erboristeria.

Ciò che accomuna i quattro lati sono gli avvisi e le locandine. “Non portare via le piastrelle”, “Non portare le biciclette dentro gli ascensori” sono quelli che vanno per la maggiore. Poi ci sono le locandine di eventi teatrali, quelle di eventi pastorali/religiosi, le locandine di iniziative comunali, dei progetti del centro di mediazione, delle associazioni che qui lavorano. Gli annunci lavorativi e di aperture di nuove attività sono appesi qua e là alle vetrine vuote dei negozi chiusi. Il tutto in un mix di lingue: italiano, inglese, cinese, arabo.

Alla base delle torri due gallerie collegano tre dei quattro lati, e un aborto di tunnel si chiude con una parete in metallo bucato di fronte ai grandi giardini. Sono buie, ventose e poco vissute, ricordano le gallerie degli edifici popolari francesi e inglesi ripresi in molti film, prive di qualsiasi senso di comunità o scambio sociale. Se non fosse per dare accesso agli androni delle scale di ingresso, rari passi le attraverserebbero, probabilmente solo quelli dei bambini che giocano con la palla al riparo dal sole e dalla calura estiva. E poi carrelli della spesa, alcuni vuoti, alcuni pieni di cartoni, altri di giocattoli. Costituiscono l’arredo delle gallerie cupe e spoglie. Vengono utilizzati per trasportare più facilmente oggetti pesanti o per raccogliere i giocattoli che i bambini andranno a scegliere a seconda del momento e dell’interesse.

Foto di Francesca Mascellani

ESPERIENZA INCONTRO.  Quando gente diversa permette che altra gente la consideri uguale.

Le torri costituiscono un luogo di passaggio, di temporaneità, spazi in cui centinaia di individualità si incrociano, spesso senza entrare in relazione tra loro, una massificazione delle differenze culturali, ciascuna con un proprio stile e caratteristiche proprie, in uno spazio assegnato.

Sono i luoghi della solitudine, i luoghi che, come direbbe Umberto Galimberti, dimostrano come la terra sia “indifferente, estranea all’evento umano che ospita a sua insaputa”.

Ai luoghi di arrivo lo straniero appare strano e non familiare, ma allo stesso modo anche allo straniero questi nuovi luoghi risultano estranei e perciò carichi di solitudine. Ma se poi questi nuovi luoghi diventano familiari, allora è lì che nasce la tragedia dello straniero che diventa estraneo alle proprie origini, che, dimenticando la sua estraneità, vuol essere chiamato “uguale”, perdendo la sua identità.

“Le brutture di questo mondo vengono proprio dal fatto che gente diversa permette (io aggiungerei vorrebbe) che altra gente la consideri uguale” recitava Maude in un famoso film del 1971, Harlod e Maude. E Hans Georg Gadamer aggiungerebbe “dato che dal pregiudizio non possiamo uscire, così come non possiamo uscire dalla nostra identità e dalla nostra storia, allora l’unica soluzione è quella di stare nel nostro pregiudizio nel modo giusto, ovvero quello che rimane perennemente aperto al pre-giudizio degli altri, così da poter continuamente correggere il proprio”.

Ciò pone le premesse per la tolleranza, che non è sopportazione degli altri, ma un atteggiamento che vede nel pre-giudizio degli altri un gradiente di verità superiore al nostro.

ESPERIENZA SALITA. Quando il viaggio è in verticale.

Quando il viaggio è in verticale le alternative sono poche, o si percorrono le scale o si sale in ascensore. Tranne ai piani bassi quasi tutti salgono con l’ascensore, anche con la bicicletta, malgrado questo sia vietato. Nella città delle biciclette in pochi affrontano il quotidiano rischio di lasciarle nelle rastrelliere all’ingresso.

Se si fa lo sforzo di rinunciare all’ascensore, che probabilmente farebbe guadagnare in tempo ma non in raggiungimento dell’obiettivo, dato che il più delle volte è lui che decide dove portarvi, si ha la possibilità di vivere un’esperienza quasi surreale.

C’è un clima quasi esotico, etnico nel viaggiare in verticale. Molti odori attraversano le scale, alcuni visi italiani, molti stranieri. E poi i campanelli, quasi trenta nazionalità diverse in 90 metri di altezza.

L’emozione di arrivare in cima viene presto sopraffatta dalla percezione della mancanza di parapetti. Un brivido mi percorre la schiena e le gambe. E’ uno spazio vuoto e senza protezione, ed è alto, molto alto per chi come me ha sempre vissuto ai piani bassi di edifici di pochi piani, in città dalle altezze ridotte. Dicevano si provasse una strana sensazione qua su, che il campo elettromagnetico generato dalle molte antenne sul tetto avrebbe generato un senso di smarrimento e disorientamento: per me non è stato così.

Da qui la prospettiva è unica, l’unica prospettiva dall’alto possibile della città.

La visuale alle volte è disturbata dal groviglio di cavi, antenne e parabole dei tanti emettitori radiofonici e televisivi che hanno scelto, a loro tempo, il luogo più alto della città per trasmettere i propri programmi. L’aveva scelto anche chi, in tempo di progettazione, voleva farci un ristorante panoramico, probabilmente quando ancora si credeva e si sognava una Ferrara a “stelle e strisce”.

(fine prima parte)

2 Commenti

  1. Tommaso scrive:

    Complimenti per l’articolo e il tema.

    Come diceva l’anno scorso Philippe Daverio al mercato coperto di Ferrara, facendo palazzi e grattacieli si crea (o dovrebbe creare) aggregazione fra i coinquilini, perchè si è obbligati a ‘vivere’ assieme.
    Invece, oggi molti fuggono dalla città per la campagna limitrofa, per diversi motivi, in questo modo si svuota la città dei propri cittadini originari, e le persone si allontanano fra di loro.
    Ovviamente il tutto ha un impatto sull’ambiente e il territorio: aumentando la densità di persone diminuisce il suolo occupato e sempre più rubato alla campagna e coltivazioni, facendo nascere nuovi ‘quartieri’ dormitorio benestanti in cui vi sono belle villette ma in mezzo al nulla e senza un negozio.

    Inoltre, non credo sia facile vivere all’interno dei grattacieli di Ferrara, purtroppo è diventato un un posto un po emarginato.

    Tom

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