“Ma che dice quello?”

“Eh, e che dice? Spiega. Spiega le cose che noi non potemo capi’’.

Alberto Sordi con Anna Longhi nella scena della Biennale dal film “Dove vai in vacanza?” (1978) impersona in modo perfetto il povera turista da museo turbato e confuso da opere d’arte astruse e sibilline. Anche oggi sono i tanti a trascinarsi nelle sale dei musei borbottando tra sé e sé “Io l’arte contemporanea non la capisco proprio”. Forse è arrivato il momento di ridurre lo scollamento tra arte contemporanea e grande pubblico. C’è qualcuno a Ferrara che ci sta provando. Con notevoli successi.

E’ un primo pomeriggio d’estate: i ciottoli sono roventi e le ruote di gomma quasi si fondono sotto un cielo senza nuvole. Il Castello degli Estensi alle spalle, imbocchiamo corso Ercole I d’Este. Suoniamo al numero 3 di un palazzo storico del Quattrocento, a pochi passi dal Palazzo dei Diamanti, famosa sede di importanti esposizioni d’arte.  Sopra il citofono un’insegna: MLB. Maria Livia Brunelli home gallery.

Cos’è una Home Gallery? Non è un museo: non aspettatevi né targhe né vetrine. E’ una casa vera e propria: si suona il citofono e si fanno le scale. Maria Livia, direttrice della MLB, ci abita con suo marito e la sua piccola Lulù, di nove mesi, una bambina che respira latte materno mescolato a arte. Ma è anche una galleria di arte contemporanea. Entriamo e siamo inondati di luce. Tutto, dal legno chiaro del pavimento alle orchidee, dalle pareti color crema ai divani bianchi fino alle vetrate del corridoio, riflette luce. Maria Livia Brunelli, vestita di nero e rossa di capelli, ci offre un tè: “ciliegia e mirtillo, il tè dei monaci”. Alla parete alle nostre spalle è affissa una insegna curiosa: “E’ un’opera luminosa, ora la accendo”. Così Quattro passi nell’incertezza si illumina.

La MLB home gallery opera in collegamento con Palazzo Diamanti: “Chiediamo gli artisti di elaborare progetti in collegamento tematico con le mostre di Palazzo Diamanti. Per esempio quando Diamanti ha inaugurato la mostra sulle nature morte di Morandi, nello stesso giorno, abbiamo fatto l’inaugurazione della mostra di Timothy Tompkins, un artista californiano che ha saputo interpretare il tema della natura morta in chiave assolutamente attuale: ha avuto l’idea di ritrarre gli articoli di  primavera, vasi e piante in plastica, esposti al bancone di un centro commerciale scontati anzitempo, prima ancora che la stagione successiva iniziasse. Così dalla riflessione sulla caducità delle cose alla maniera di Morandi e Caravaggio, si arriva alle nature morte contemporanee denunciandone la loro “scadenza” in senso consumistico.

Maria Livia, con alle spalle una settantina di mostre in gallerie private e musei, ci racconta la sua idea di arte contemporanea. “E’ un peccato che si sia venuta a creare una frattura tra pubblico e arte”. Da lì i commenti di chi si irrigidisce e si ritira, schernendo gli artisti con un Lo potevo fare anch’io. “E’ un atteggiamento comprensibile perché manca un coinvolgimento vero del pubblico. Io invito i miei artisti a lavorare con un progetto in mente, in modo che la mostra non assomigli poi a spezzatini d’artista multicolore ma a un progetto unito da un fil rouge. E poi una cosa importante: le opere vanno spiegate, raccontate, sempre. Io  costringo gli artisti a farlo durante le inaugurazioni, che si tengono ogni tre mesi circa: ecco come raggiungiamo 3-400 persone a volta”. Negli anni ’70 l’arte era imbevuta di politica, veicolava un messaggio sociale, che piacesse o meno, mentre oggi sembra quasi che l’arte si sia scollata dalla realtà al punto da smarrire il senso, finendo per far allontanare i visitatori comuni, i non addetti ai lavori. “Proprio gli artisti, invece”, continua la Brunelli, “sono chiamati a interpretare questo mondo così complicato, a spiegarlo, a fornire, perché no, anche soluzioni ai problemi, proprio perché provvisti di antenne che avvertono prima degli altri i bisogni della società”.

Foto di Lucia Ligniti

L’arte contemporanea è qualcosa di unico e eccitante. Maria Livia si illumina quando ci parla di Hiroyuki Masuyama e della sua reinterpretazione fotografica di Turner e dei suoi paesaggi veneziani: Masuyama ha ripercorso il viaggio di Turner dall’Inghilterra all’Italia scattando ben trecento foto per ogni “set pittorico” di Tuner. Le foto sono state poi inserite in delle light boxes: a luce spenta si ha l’impressione di essere davanti al classico dipinto di Turner, ma basta accendere la luce perché spuntino fuori tutti simboli della modernità: impalcature, turisti con zaino in spalla e cartine, motoscafi.

La galleria è aperta sette giorni su sette, da lunedì al venerdì dalle 16 alle 20 (per appuntamento: +39 346 7953757) mentre sabato e domenica pomeriggio (dalle 15 alle 19) non è nemmeno necessario prenotare. “Vengono in tanti, eccome. Il bello, però, è quando tornano”. Come gli studenti delle medie, in gita più o meno forzata con la scuola che tornano la settimana seguente e portano i genitori. O come quel pensionato che tornò con la moglie dicendole: ho scoperto un posto grandioso. Perché qui l’arte è spiegata, c’è la voglia di includere il pubblico, non di metterlo in soggezione con un’arte aulica o incomprensibile. “A fare le visite ci pensiamo io e mio marito; se siamo assenti è un compito che diamo alle nostre stagiste”.

La Brunelli è da poco tornata da Basilea, dove ha partecipato alla fiera Scope, parallela di Art Basel, la fiera d’arte contemporanea più importante del mondo. “Ho chiesto agli artisti di interpretare un concetto, di lavorare su un tema comune, come faccio sempre. Questa volta il tema scelto era la crisi dell’Europa”. Così Stefano Scheda ha ricoperto tutto il pavimento dello stand di monetine da un centesimo, simbolo del tesoro che l’Europa ha sotto i piedi ma di cui non si rende conto: l’arte e la cultura.

Ma cos’è non funziona in Italia? “L’Italia è da sempre esterofila in campo artistica. Ma così finisce così per trascurare i talenti locali, che non mancano di certo”. Come Marcello Carrà, il Leonardo della penna Bic. “Una mia scoperta. E’ ferrarese, eh sì, ci tengo a promuovere il territorio”. Carrà ha esposto a Bruxelles una cavalletta di otto metri: un peccato che ora sia riposta in un tubo in attesa della prossima mostra. I suoi pesci e insetti lasciano a bocca aperta: tutti disegnati con la penna Bic, rivelano la loro fragilità di creature, che, se ingrandite, risplendono nei loro dettagli, dimostrando che anche loro meritano di esistere. “Dove l’Italia è carente è il sistema”, spiega la Brunelli: “non c’è un vero supporto agli artisti perché musei e gallerie private, e spesso anche i musei tra loro, non comunicano”. Ed è un peccato, se si pensa al genio rinascimentale italiano: al di là della retorica, la creatività italiana non è in discussione, e anche il suo senso dell’adattamento. Come non averlo con una terra che ti balla sotto i piedi? Proprio il terremoto ha ispirato una piccola opera nata per caso: nella seconda sala della galleria, alcune piccole crepe post 20 maggio 2012, sono diventare un memento mori del terremoto: Stefano Scheda ha fatto gemmare le crepe, infilando dei piccoli rami nelle spaccature dei muri.  Crepe germinate come segno della ripresa.

In occasione del centenario della nascita del regista Michelangelo Antonioni, la MLB home gallery ha realizzato una serie di mostre in omaggio al cineasta ferrarese. Come le sculture e le insegne di plexiglas e luce di Alessandro Filippini. Frasi solo in apparenza banali come Parlare al silenzio o Dove finisce il vento, che racchiudono il mistero della poetica di Antonioni.  “E la prossima mostra?”, chiediamo. “La prossima sarà dedicata al tema delle metamorfosi a partire da opere di Zurbaràn, e esporrà Marcello Carrà”, a cui la Bic dovrebbe fare un monumento. “Ma dove li trovi questi talenti?”, chiediamo. “Li seleziono andando alle mostre, alle fiere”, spiega la Brunelli. “Poi abbiamo un network internazionale di curatori, che va da Londra a Berlino, da New York a Pechino”.

“C’è una domanda ricorrente che ti fanno i visitatori, voglio dire, gli ospiti della home gallery?”. Maria Livia sorride divertita. “Oh sì, è quando li porto in camera da letto: sgranano gli occhi e chiedono: Ma voi dormite qui??”  Lo stupore è più che prevedibile: la camera di letto dove dormono Maria Livia e suo marito è tappezzata di opere d’arte da cima a fondo: dalla falena gigante di Carrà al calco di fili d’erba con pasta odontoiatrica di Daniela Carletti, fino al una foto di Erik Binder, artista di Bratislava, simbolo dell’incomunicabilità tra gente della città, dove sono solo le tubature a mettere in comunicazione le persone dei condomini.  “Ci piace esporre uno sconosciuto a fianco di un artista famosissimo, perché a me quello che interessa è il messaggio. Non è sempre facile, è comunque un grosso sacrificio della privacy familiare, ma lo facciamo volentieri. Una domenica sono arrivati dei visitatori mentre mio marito era a letto. Poco male, si è alzato e in pigiama ha cominciato a spiegare le opere!”.

E’ proprio sulla cultura che l’Italia dovrebbe far leva per riprendersi dalla crisi. E’ perfino banale ricordare il nostro patrimonio culturale passato ma anche moderno e il genio che nasce e si forma qui in Italia, nelle nostre università e nei nostri laboratori, ma che finisce per sbocciare altrove, all’estero, in fuga da un paese sempre meno meritocratico. Proprio sul tema della fuga dei cervelli all’estero è nata l’idea dell’installazione Coltiviamo i cervelli italiani di Pierpaolo Curti nel 2009. Calchi di cavoli molto simili a cervelli sono stati “piantati” nel cortile del liceo “L. Ariosto”. E’ solo uno dei tanti progetti di arte pubblica e responsabilità sociale curati della MLB home gallery. “Certo, ho pensato anch’io di andarmene dall’Italia”. Dopo gli studi di lettere moderne e il diploma di specializzazione in storia dell’arte non sono  certo mancate le esperienze di lavoro in musei e gallerie private, ma quella domanda che martella il cranio di un italiano su 3 non accennava a tacere: Cosa faccio, resto qui o vado all’estero? “Ho decido di restare e mi sono inventata questo lavoro. Il resto è venuto da sé, si è incastrato tutto a meraviglia, come questo palazzo che ho ereditato e che mi ha permesso di cominciare tutto”. Naturalmente non sono mancati gli uccelli del malaugurio: non ce la farete mai, a Ferrara nessuno capirà. Voci di corvo presto smentite. E lo dicono che le centinaia di persone presenti alle inaugurazioni e tutte quelle suonate di campanello di gente che è curiosa e vuole salire. C’è da dire, però, che la maggior parte degli ospiti della MLB home gallery viene da fuori. Molti da Bologna, altri da ogni parte d’Italia e dall’estero. Ferrara non sembra a volte sempre cosciente del suo sottobosco, del suo ricco e prezioso mondo sommerso. Che a volte riserva sorprese davvero inconsuete.

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