C’è uno strano edificio in fondo a una delle vie più belle di Ferrara. Una costruzione antica e moderna al contempo, davanti alla quale passano tutti i giorni centinaia di persone e di cani. Una struttura che mantiene una sorniona tranquillità anche se vanta di essere conosciuta sia come la Porta degli Angeli che, al contempo, come la Casa del Boia. Situata in fondo a corso Ercole I d’Este venendo dal centro, un’unica funzione storica è certa: quella di torre d’avvistamento. E se le apparenze che aleggiano sopra questo luogo sono molte, la verità forse nessuna, “la Porta” rimane comunque il posto più indicato per una mostra dal titolo “Trames/Tramites”, esposizione collettiva che nasce dal progetto “Dentro le mura”, promosso e sostenuto dal Dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Anci – Associazione nazionale comuni italiani.

Trames, tramites. Paesaggio, passaggio. E se per un attimo lasciamo spazio alle idee, subito dalla testa scappano i pensieri, corrono, si fermano, si distaccano, si incontrano. Porta. Avvistamento. Dialogo. Visione. Trappola. Interiore. Esteriore. Labirinto. Nodi. Cammino. Attraversamento. Luoghi. Uomo. Ingresso. Donna. Uscita. Sfumature. Passaggio. Paesaggio…

Foto di Lucia Ligniti

matteo#1. Matteo Cattabriga // Il degrado come sguardo d’arte

Fotografo documentarista che tuttavia non rinnega ritratti, pubblicità e moda. Attualmente, racconta, una sua foto è all’Ermitage di San Pietroburgo per una mostra su Antonioni. Indossa un maglioncino giallo senape ed è stato selezionato nel progetto da Federica Zabarri.

“Il mio lavoro è un viaggio attraverso la provincia dove mi capita di ritrovarmi in luoghi che sono dei non luoghi”. C’è una sorta di degrado che lo affascina e che Matteo immortala nei suoi scatti, che però “non vogliono essere una forma di denuncia. Semplicemente – sorride – è il mio sguardo. Voglio che guardando le mie opere passi l’idea di una provincia intesa sì come luogo, ma non per questo connotabile e connotata… L’unico dato certo è che ciò esiste al di fuori delle mura cittadine, per questo l’unica mia immagine stampata ho scelto di metterla in modo che sembri aprire un varco nella vecchia porta – da dove si entrava e si usciva dalla città e che ora invece è stata murata – tanto da creare un trompe-l’œil, una vista sull’esterno”. Oltre alla gigantografia di un suo scatto, c’è un piccolo schermo dove passano molte altre sue immagini. “In tutto sono trentotto e hanno un loro preciso legame, tanto da diventare una sorta di racconto fotografico. Ognuna di queste immagini ha bisogno, per esistere, delle altre. Ho scelto di usare una macchina degli anni ’60 che produce foto quadrate. Questo formato rende le immagini molto più statiche del normale, ed è prefetto per questo territorio fermo, che io trovo soffocante. Osservando le foto, in realtà, tu non riesci a capire dove siano state scattate, potrebbe essere qui fuori come al mare, proprio perché c’è alla base una pura visione personale del luogo. Non sono andato alla ricerca del brutto, sono andato a scovare quello che mi colpisce. Esiste un certo scenario che lega insieme tutte le provincie… Potrebbe essere anche Las Vegas! E il bello è che è un work in progress”, tendenzialmente… infinito.

giovanni#2. Giovanni Tutti // Finché in quella cameretta non ci impazzisci per davvero…

Giovanni Luppi, in arte Tutti. Un’opera bicanale, due video, sei minuti ciascuno e in contemporanea. Due porte su due punti di visione. In una scorrono le immagini belle, più pulite e schiette “come a dire: vorrei queste cose e non solo ciclisti e pianure!”, nell’altra i frammenti sono più concettuali, lo schermo diventa luogo di transito. E “Quello che vorrei” a far da colonna sonora. Scelto da Vitaliano Teti.

“È sempre tutto un esperimento. È come se questo lavoro fosse l’inizio da cui vorrei sviluppare qualcos’altro, un seguito. Mi sono ispirato a Andy Warhol e al suo Uomo sdraiato sul divano – in cui lui diceva che lo puoi far partire e intanto ti vai a mettere su il caffè – perché ho sempre prediletto le forme al contenuto. Partendo dal presupposto che tutto è già stato detto e tutto è già stato fatto, per me il multilivello nella videoarte non è stato ancora abbastanza sperimentato. Personalmente, la sovrapposizione delle immagini mi dà la possibilità di creare qualcosa di ‘meno influenzato da altri’. Io sono influenzabilissimo come persona, sarà perché faccio il proiezionista in un cinema. Quindi, quando lavoro a un mio progetto, per equilibrio tendo ad isolarmi e a rimanere influenzato solo dal labirinto della mia mente, che a sua volta è influenzato da molti altri… labirinti. E a me piace… rimanerne intrappolato. Comunque per me non si impazzisce mai del tutto, se riesci a indossare la maschera sociale sei normale e va tutto bene. Si finge. Diversamente uno che è pazzo è sincerissimo. Tornando al mio lavoro, penso serva un’evoluzione tecnica: se i murales vengono fatti di notte per non essere scoperti, io sogno una sorta di proiezione abusiva, notturna. Credo sia un modo per abbellire i posti, per riempire i luoghi a cui uno vuole bene. Sarà che qui vivono cinque persone che mi stanno a cuore, ma io a Ferrara voglio bene. I posti sono brutti solo quando non riesci a farti nessun amico”.

eugenio#3. Eugenio Squarcia // L’archetipo geometrico e il signor Aldous Huxley

Selezionato da Giovanni Dalle Molle, Eugenio propone quindici intrografie, ovvero “quindici tele in cui c’è del bianco e c’è anche del nero, sono simmetriche e anche psichiatriche”, spiega (?). E continua “non sono opere d’arte perché l’opera d’arte sei tu che la guardi. Diventano dunque arte, perché qualcuno dà loro un/il significato. Sono in sostanza quindici archetipi. Io ho il mio significato come tu hai il tuo, e proprio perché sono archetipi sono tutte forme che conosci prima di essere nato e il gioco sta appunto nel riconoscerle come tue. Che poi non è altro che l’idea stessa delle macchie di Rorschach”. Se quelle macchie basavano la loro idea sulla casualità, “qui invece è tutta geometria! C’è la dicotomia bianco/nero, le polarità, lo zen, il tao. C’è il tentativo implicito di non fare arte! Perché come dice Oscar Wilde nella prefazione al Dorian Grey: l’arte è totalmente inutile! Perciò ho cercato di non fare arte, perché l’arte è qualcosa di istintivo. Ben inteso, tu puoi anche fare arte, ma tanto Dio ne ha fatta di più. E io non sono neppure religioso, figuriamoci. Mi sento in imbarazzo quando devo fare arte. È per questo che non faccio arte. E queste opere non sono niente!”.

mary#4. Mary Cinque // L’efficace rimedio (con rossetto) contro le illusioni dei luoghi comuni

“Mia madre era incinta di me quando partì con un furgoncino per Oslo. Era al settimo mese e da lì non mi sono più fermata neppure io: Napoli, Pompei, Milano, New York, Addis Ababa… Il mio mal d’Africa ce l’ho da prima di nascere”.

Mary Cinque infatti non nasconde un accento dai raggi partenopei, ma ha gli occhi svegli di chi guarda sempre un po’ più in là. Di chi vive a Napoli, ma è già su un treno destinazione (nuovo) desiderio. Dalle sue parole, appuntate su un taccuino pochi minuti prima, sembra proprio che la sua missione sia scardinare i luoghi comuni “che sono un grave danno per noi. Nascono quando si dà tutto per scontato, quando si hanno dei preconcetti su qualcosa o su delle idee. Credo sia meglio riflettere, prendere il tempo per dire le cose. Il titolo, la copertina di un libro, il buono, il cattivo, tutto ciò non esiste, è pia illusione. Io credo nel tempo: è fisiologico, cambia da essere vivente ad essere vivente, rende una determinata cosa vera, reale. L’essere umano non deve capire, deve sentire. Spesso si dimentica l’importanza del fattore tempo, e ciò porta a molti disagi… così si va contro l’etica dell’uomo. Il mio lavoro si prende il suo tempo, per non accontentarsi dei luoghi comuni”. Le sue opere – selezionate da Vincenzo Biavati – si chiamano infatti “Titled” e “chiamarsi titolo non vuol dire che l’opera realmente ce l’abbia, il titolo. L’Italia è un paese ricco di storia e di bellezza. Io vorrei essere tra quelli che lottano per questo Paese. Purtroppo troppo spesso vedo togliere ossigeno al contemporaneo, come se l’unica via giusta fosse quella di dipingere in modo caravaggesco! Invece tanto è stato fatto nel contemporaneo e attraverso le finestre del piano superiore della Porta vedi fuori l’antica Ferrara e la sua natura che comunicano con le mie opere, che sono cultura contemporanea, sono edifici. E per me fuori e dentro sono la stessa cosa perché come nel nuovo, anche nell’antico non tutto è bello. L’architettura può essere incantevole a vedersi ma o per i materiali scadenti o per scelte urbanistiche sbagliate nel quartiere si vive male lo stesso, vedi il caso di Scampia a Napoli o del Corviale a Roma. Insomma, non basta applicare le regole, bisogna essere responsabili del bello”.

Siate dunque responsabili del bello che queste opere trasmettono. La Porta degli Angeli sarà lì pronta ad aspettarvi.

 

Ingresso gratuito, in via Rampari di Belfiore 1, angolo con corso Ercole I d’Este
Orari: da gio. a sab. 16.30 – 19.30 /dom. 10 – 12.30 e 16.30 – 19.30
Contatti: http://www.portadegliangeli.org

Per vedere Trames/Tramites c’è tempo fino a domenica 7 luglio.

2 Commenti

  1. Arch. Lanfranco Viola scrive:

    Per caso ho scoperto questo sito,visto che nessun organo d’informazione (?) ne ha DATO NOTIZIA. In città c’è bisogno di avere una informazione libera da “condizionamenti”.Anche perchè esiste un BUCO NERO che tutto fà scomparire perciò che tratta dell’INDUSTRIA TURISTICA CITTADINA , che potrebbe nel giro di 6-12 mesi portare sollievo all’Economia e all’Occupazione del Centro Storico.
    Mi auguro di potere essere contattato da qualcuno con i miei stessi interessi.

  2. Roberta Osti scrive:

    Trames, tramites. Paesaggio, passaggio. Porta… Avvistamento. Dialogo. Visione. Trappola. Interiore. Esteriore. Labirinto. Nodi. Cammino. Attraversamento. Luoghi. Uomo. Ingresso. Donna. Uscita. Sfumature. Passaggio. ecc. CASPITA!!!, DI TUTTO DI PIU. ‘ PECCATO PERO’ CHE IL FORNICE CHE PORTA AL SOTTOMURA. SIA STATO CHIUSO A CHIAVE. MI E’ STATO DETTO CHE NON SONO GRADITI QUELLI CHE L’ATTRAVERSANO SENZA VISITARE LA MOSTRA. A ME E’ ANDATATA VIA LA VOGLIA DI TORNARCI

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