E’ da quando le donne impararono a coprirsi che iniziò il gioco della seduzione, scriveva de Laclos. Quella di Elena Massari è una seduzione sottovoce. Come il fruscio di una gonna di seta.

Il paese delle meraviglie è dietro una porta di legno scuro in via Cortevecchia 3. Basta superare Coin e citofonare. Niente insegna ma si sa, le cose più preziose sono anche le più nascoste. Salite le scale che sanno di menta si entra in un mondo fatto di gonne a vita alta, bottoni, colletti collegiali, pizzi valenciennes, seta rosa, spacchi laterali e crepe di lana: la casa atelier di Elena Massari.

La cucina odora di caffè e dal balcone arriva tremula la luce di una primavera incerta. Elena mi offre una sedia e mi sorride, io sono curiosa, mi guardo intorno, la voce gracchiante di David Lynch al computer. Il primo abito che ho nella memoria è in una foto in bianco e nero di Alessandro Passerini all’esposizione Piccole Opere Umane (Galleria del Carbone 6-21 aprile di quest’anno). Una modella di spalle persa in un bosco con un abito nero al ginocchio dal colletto bianco. Le dico subito che mi ricorda la Courtney Love dei primi anni ’90. Lei sorride e mi passa lo zucchero. “Quello l’ho confezionato proprio io. Eh, beh, sì, anni fa suonavo la chitarra in una tribute band di PJ Harvey”. Un’altra signora arrabbiata.

“Tutto è cominciato nel 2007” racconta” con il corso di modellistica sartoriale alla scuola di Lorella Chinaglia”. “Quindi non sei sempre stata con le dita sui tessuti”. Al contrario. Chitarrista rock, ballerina, ceramista: ne ha avute di vite. “Ma cosa facevi prima che la moda occupasse tutti i tuoi giorni?” “Ero un’impiegata. Con il classico posto a tempo indeterminato.” E poi? “Sono volata a Parigi” Certe persone non impazziscono mai, che vita tremenda devono vivere, come Bukowski docet.

“Ho iniziato portando i miei abiti in un negozietto a Lugo: non facevo in tempo a portare i vestiti nuovi che quelli di prima erano andati a ruba” si delizia Elena. La prima collezione, Hirondelle, è stata presentata a Parigi al Who’s Next nel 2009. Janu e Coup de Foudre seguono negli anni successivi.

Non c’è posto per il banale nel baule di Elena. Niente tubini noiosi o gonne in serie. I tessuti italiani, i bottoni e gli zip decorativi, gli spacchi laterali parlano da sé. Perché Elena non è una semplice sarta. Né una stilista. E’un po’tutte queste cose insieme. “Più che una stilista più che una sarta mi sento un’esteta – precisa – mi piace il bello”. Il Bello come principio di tutte le cose, come causa e fine. Per molti versi ricorda proprio la sarta di una volta, quella che cuciva l’abito intorno a te. Perché non regalarci anche oggi un vestito unico? Penso. Per una laurea, una festa, un matrimonio. Il gusto dell’abito creato intorno alle tue forme, studiato sui tuoi lineamenti, sui tuoi desideri, sulle tonalità giuste per la tua pelle, per la tua occasione. Un piacere di pelle e di pancia. La felicità sta nel gusto e non nelle cose.

Foto di Giacomo Brini

“Cosa conta davvero nella bellezza della moda?” Elena risponde con sicurezza: “Il dettaglio, più dell’insieme, e il portamento.” Senza di quelli è sterile anatomia. Niente a che vedere con i canoni di oggi, legati con tristezza alla sola bellezza anatomica o allo stile erotico urlato. Lo stile di Elena è tutto il contrario. Gonne, camicie, pantaloncini, abiti. Tutti femminili, classici, eleganti, senza tempo. Semplici e non sovraccarichi. Vestiti antiurlo, si potrebbe dire. Silent clothing si legge nel suo sito: “I nomi (della collezione Coup de Foudre) di diversi abiti sono dedicati ad alcune fra le donne più emancipate, anticonvenzionali e dalla grande personalità, romantiche ma al tempo stesso combattive, come per la seconda metà dell’800 Louise Michel e per la prima metà del novecento Tina Modotti” (da elenamassari.com).  Proprio come le donne degli anni ’20,che dissero addio a corsetti e costrizioni e a lunghe pesanti chiome scegliendo il famoso taglio alla maschietta e andando a ballare fino all’alba, un bicchiere di Bourbon in una mano e i guanti nell’altro. Era un’epoca di rilassamento sia di schiena che di busto. Una parentesi di libertà prima che il perbenismo post guerra stringesse la vite delle casalinghe americane.

Certo, l’arte ha un prezzo. “Sì”, dice Elena giocando con una piuma “va sempre così, io sfondo la porta come una testa di ariete, apro i varchi, cantavo Rid of me quando PJHarvey non se la filava nessuno e disegnavo cappelli da Louise Brooks ben prima che il Grande Gatsby andasse di moda”.

Mi sto godendo la musica di Peggy Lee, le chiacchiere sul cinema muto, Anais Nin, la Parigi di René Clair e la malinconia di Buster Keaton e il bianco del duomo è alla finestra. Ma il bello deve ancora venire. Perché dopo il caffè Elena spalanca il suo armadio. E il gioco può cominciare. Tolgo i jeans e la camicetta cinese da grandi magazzini e faccio scivolare sulla pelle un vestitino che farebbe sentire romantica anche la strega di Blair. Da lì ai cappellini anni ’20 il passo è breve. Il mondo di Elena è come un vortice. E’ un mix di baule della nonna, di note dark, di femme fatale anni ’20, di colletti da collegiale e da blues di fine epoca, di spacchi vintage, di pizzi e perle.

Non ci vuole molto per entrarci in questo mondo. Elena riceve per appuntamento (389/3442776). Per avere un’idea del suo stile basta cliccare su http://www.etsy.com/shop/LesZiegfeldfollies. La gran parte della vendita, infatti, è online. “Spedisco molto negli Stati Uniti ma non solo. Una camicia sta per volare in Australia, un abito a Brooklyn. Faccio tutte le modifiche che mi chiedono. Possono volere la gonna che hanno visto in catalogo ma volerla in blu invece che in viola: basta chiedere. Una volta ho vestito un intero corteo di matrimonio in America: tutte le damigelle, compresa la bambina di nove anni”. Perché se la moda è semplice e classica va bene a tutti, bambini compresi. Proprio perché eterna. Gli abiti di Elena hanno questo di speciale: le gonne delle attrici di un cinema che fu ma come la metterebbe la mamma. Abiti mai sovraccarichi, sempre in punta di piedi, fini e carismatici. Abiti che non sanno che farsene di una didascalia. Abiti che parlano da soli, come le immagini del vecchio cinema muto. Silent clothing, appunto.

Rimetto jeans e maglietta ed esco al sole di una primavera in sospeso. Sì, Elena ricorda un po’ PollyJean. Mi sembra quasi di sentirla cantare mentre sbuco di nuovo fuori in via Cortevecchia.

Put on that dress
I’m going out dancing
Starting off red
Gleam and sparkling he’ll see me
Music play make me dreamy for dancing…

6 Commenti

  1. Complimenti!! Forse ci conosciamo….Sei stata molto brava a scrivere questo articolo. Hai ricreato e romanzato in giusta maniera, anche con citazioni specifiche, l’atmosfera del retrò anni ’30. Le emozioni e le immagini dell’epoca, come in un film….Brava!!!

  2. Sara Macchi scrive:

    Grazie Maurizia. E’ un mondo che parla da solo, “words are very unnecessary”.

  3. Laura Ragazzi scrive:

    Bellissimo articolo e bravissima Elena!! ah dimenticavo le foto: pure quelle fantastiche… complimenti a tutti!!

  4. Emanuela Bassan scrive:

    L’articolo e le foto creano veramente un’atmosfera di calma e di eleganza unica. Al contrario, appunto, di queste mode urlate e tutte uguali. Complimenti!!

  5. Matteo scrive:

    Ferrara e i suoi talenti nascosti non finiranno mai di stupirmi! Fantastico! Il grande Gatsby… Quanta creatività e intelligenza. Complimenti!!!!

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