L’uccisione di un pedofilo. Ecco il nodo attorno al quale si svolge “Apologia di uomini inutili”, l’ultimo libro dello scrittore ferrarese Lorenzo Mazzoni, edito da Le Gru. Un romanzo che si avvia in sordina ma che dopo poche pagine sbatte addosso al lettore un azione crudissima: Mauro – l’uomo qualunque, rappresentante di ferramenta, giocatore di calcetto – diventa assassino sospinto dagli eventi, dal caso che gli ha fatto incontrare Damiano, dal caso che ha voluto Damiano la sera del loro incontro fosse ubriaco, ben disposto a raccontare, a mostrare attraverso i propri filmati amatoriali lo scempio di tre bambine thailandesi. «Lavoravo a questa trama da anni, da quando stavo in Inghilterra nel 1999 – racconta l’autore –, ma l’argomento della pedofilia era scomodo. Gli editori lo rifiutavano, lo definivano commercialmente poco valido. Continuai a lavorarci nel 2000, inserendoci parte della mia esperienza come animatore nei villaggi turistici egiziani, lo sistemai tra il 2005 e il 2009, quando stavo nello Yemen».

Il giro del mondo in una frase. Mazzoni, classe 1975, è giornalista, reporter di viaggio oltre che romanziere, interessato soprattutto alla cultura araba. L’ultimo romanzo – diversamente da altri scritti precedenti, come la trilogia dell’ispettore anarchico Pietro Malatesta, ambientati all’interno delle mura estensi – testimonia chiaramente questa sua passione. La trama si svolge principalmente tra Sana’a e Urghada, ma nel vortice della narrazione finisce dentro di tutto: Taiwan, Roma, Kabul, Londra, Damasco, Parigi. La contrapposizione tra occidente e oriente è netta, a tal punto diffusa da funzionare da collante. Le vicende che si susseguono non fanno altro che illuminare aspetti diversi di questa relazione contrastata, descritta attraverso i servizi segreti, l’ambiente diplomatico, gli hotel di lusso per ricchi turisti stranieri. A tratti personaggi e dialoghi possono sembrare artificiosi, caricaturali per il manicheismo spinto che li caratterizza, ma chiacchierando con lo scrittore si scopre – come non di rado accade – che le situazioni apparentemente meno spontanee sono invece pedissequa trascrizione del reale: «la descrizione della festa a casa dell’ambasciatore italiano riprende esattamente ciò che ho visto e vissuto all’interno di un party diplomatico cui partecipai anni fa, nello Yemen. C’era l’uomo d’affari che spudoratamente proponeva ai convitati di bombardare Cuba; c’era la signora per bene – completamente ignara rispetto a usi e abitudini locali – che chiedeva informazioni per procurarsi il qat».

L’assassino Mauro, reso folle dal gesto violento, non è l’unico protagonista. Assieme a lui si muovono sulla scacchiera del mondo altre due pedine: l’imperscrutabile Paco, uomo d’azione alla ricerca di un kamikaze per organizzare un attentato; Jerry, studente ferrarese che ha trovato impiego in uno dei tanti resort affacciati sul Mar Rosso.  Tutti e tre sono uomini inutili, piegati al flusso degli eventi, l’apologia – il riscatto dalla banalità – per l’autore avviene solo grazie al raptus omicida di Mauro nei confronti del pedofilo: «Nessuno di loro prova ad avanzare un passo in più, si accontentano, non riescono ad evolversi. Ben venga l’uomo qualunque, in fondo siamo tutti dei mediocri, ma chi non cerca di migliorarsi è condannabile. Mauro è un uomo basico, ha una vita standard, i suoi ritmi sono quelli scaglionati del lavoro; Paco reclutata terroristi, la sua attività è finalizzata a creare e diffondere il panico, è inutile per il benessere della società; Jerry lamentava la routine delle giornate in una cittadina di provincia, si è spostato all’estero ma nel villaggio turistico continua a vivere nel limbo».

È proprio quest’ultimo personaggio a lanciare un ponte tra i precedenti lavori di Mazzoni ambientati a Ferrara e l’amarissimo e contestato articolo intitolato “La città morta”, pubblicato dallo scrittore su “Il fatto quotidiano” nell’agosto 2012 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/23/citta-morta/324121/).  La Ferrara descritta attraverso gli occhi di Jerry è questa: «Era stanco di quella sonnacchiosa città. Sere su sere davanti a enoteche stracolme di giovani, incrocio di sguardi con ninfette avvenenti, calici di vino bevuti in fretta, sigarette fumate con rabbia, discorsi noiosi divenuti improvvisamente interessantissimi al quarto giro di aperitivi. L’Università di Ferrara: un covo di baroni rincoglioniti incapaci di insegnare la benché minima teoria a uno stuolo di studenti annoiati e disinteressati, studenti incapaci di apprendere le scienze, ottimi organizzatori di feste. Una generazione di ignoranti. Meno disillusi dei loro padri che volevano cambiare il mondo, consapevoli di essere precipitati inesorabilmente nel vortice del riflusso. Con indifferenza erano arrivati al capolinea. Nessuna rivoluzione, nessuna nuova poetica, nessuna nuova filosofia di vita. Jerry si sentiva parte di una generazione inutile in un mondo inutile».

Foto di Valerio Spisani

Impossibile non rintracciare in questo desolante ritratto echi di quanto apparso su “Il fatto quotidiano”, ma lo scrittore specifica: «volevo descrivere un contesto studentesco ma periferico, all’inizio avevo pensato a Bolzano ma mi è stato sconsigliato: serviva una città più conosciuta per il proprio ateneo. Così ho reimpostato il testo calandolo all’interno della realtà ferrarese, ma le parole che ho scritto potrebbero applicarsi a qualsiasi altro contesto simile».

Mazzoni da qualche mese ha abbandonato la “città morta” per trasferirsi a Istanbul, dove si occupa di promozione turistica e dove scrive particolarissimi reportage dedicati alla capitale turca. L’allontanamento dai luoghi e dai volti a cui era abituato ha cambiato il suo sguardo sul panorama intellettuale e culturale del capoluogo estense? «Sono tornato solo per pochi giorni, il tempo di presentare il nuovo romanzo e ripartire. La mia prima impressione – recandomi a piedi verso la libreria Feltrinelli, dove domenica si è svolto l’evento – è stata quella di trovarmi in una città deserta, abbandonata. Forse questa sensazione dipende dalla folla che ho lasciato a Istanbul, megalopoli dove abitano 20milioni di persone. Di fatto Ferrara si è rinconfermata come quello che non cerco. Non mancano buoni artisti, buoni scrittori, ma per lavorare devono avere la fortuna di trovare dei contatti che li portino altrove. Andrea Amaducci, ad esempio, è straordinario per quello che è riuscito a fare partendo da questa città, ma è pronto per qualcosa di più grande, forse Ferrara non lo merita, è un ghetto fine a sé stesso. Fare gli intellettuali qui è come fare i calciatori: solo un modo per farsi grandi all’aperitivo».

Come evadere dunque dall’inutilità, che limita i protagonisti del libro come limita – stando alle dichiarazioni dello scrittore – le potenzialità di tanti giovani italiani/ferraresi? «La soluzione è il cambiamento radicale, che non significa per forza spostarsi in un posto più frequentato, più grande. Il cambiamento deve riguardare i rapporti tra le persone».

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