Odore di cipolla fritta nell’aria. Il furgoncino delle piadine illuminato a giorno in mezzo al parcheggio di piazza Travaglio. Vecchie hit anni Settanta gracchiano dalle casse dello stereo unto, appoggiato tra il registratore di cassa e il frigorifero delle bibite. Sì va bene, è tremata la terra, e allora? Sono le quattro di mattina ma informalmente siamo ancora nel bel mezzo del sabato sera, la gente ha fame e ha sete e a Ferrara io sono l’unica isola felice in un deserto di locali chiusi e serrande abbassate.

Giro la salsiccia sulla griglia fumante, improvviso una piroetta e apro al volo la vetrina dei formaggi. Cosa voleva la bionda? Salsiccia e brie, mai sentito niente di più stupido ma la fame chimica è capace di tutto. I ragazzi mi chiedono altra birra, spino veloce nei bicchieri di plastica. Loro sono qua da prima. Prima di cosa? E dopo di cosa? Quella parola non voglio nemmeno pronunciarla. Faccio finta di nulla, mi stringo per bene il grembiule dietro la schiena, ma quando tornerò a casa dovrò farci i conti pure io. Meglio non pensarci ora, così come non ci pensano i ragazzi. Quello magro è Tommaso, è fisso al chiosco tutte le sere. Quando chiude il Korova, quando chiude Settimo, quando il centro si spegne lui non si arrende e arriva qui, col passo lento ed elastico di chi ha la notte intera da perdere in chiacchiere. Gli passo il bicchiere colmo.

Inizia ad avvicinarsi gente inconsueta: una tizia in vestaglia, un anziano in ciabatte felpate e plaid scozzese sulle spalle, genitori con prole lattante in braccio. Arrivano a piccoli gruppi, a coppie, nessuno vuole restare solo e chi proprio non ha nessuno con cui parlare attacca volentieri bottone con l’insopportabile vicino di casa. Tutto bene da voi al primo piano? Stavate dormendo? Avete sentito la scossa? La paura favorisce gli affetti. Tutti si rincuorano vicendevolmente, telefonano. A me nessuno chiede nulla, e perché dovrebbe? Farcisco un panino –  ketchup o maionese? –, è ovvio che sto bene, nel frattempo ascolto le chiacchiere concitate che mi circondano. Abbasso pure lo stereo, spezzo a metà uno dei migliori acuti di Donna Summer ma pazienza, sono curioso.

Raccolgo pezzi di storie e friggo patatine, mi muovo comunque a tempo. Qualcosina si sente ancora, il battito di ‘Summer Fever’. Si avvicina una giovinetta in calza maglia strappata, gli occhi bistrati. Anche lei era già qua da prima. «Oh, ma sai da cos’ho capito che c’era il terremoto?». Me l’ha detto, mi ha detto quella parola che non volevo sentire, mi ha anche chiesto qualcosa. «L’ho capito perché le melanzane nelle vaschette hanno iniziato a mescolarsi con le zucchine». Sorride lei e sorrido io, butto sulla piastra un paio di fette di pancetta. Alzo il volume che ‘I feel love’ non si può perdere.

(racconto tratto dalla raccolta C’è un tremore, di Licia Vignotto e Giuseppe Malaspina, 2013, Edizioni Freccia d’Oro)

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