Ascelle giovani leggermente sudate (ma in primavera l’appiccicaticcio fa ancora piacere), teli colorati stesi sull’erba, bottiglie di the freddo e tramezzini ripieni cotti dal sole, musica, periferia residenziale assonnata. Questi gli elementi clou della Giornata del baratto appena trascorsa, svoltasi sabato pomeriggio in via Medini, nei giardinetti vicini alla chiesa del Doro. L’iniziativa – organizzata dagli operatori di Sportello 28, servizio di “portierato sociale” gestito dalla cooperativa Camelot, con il supporto degli studenti del collettivo Sancho Panza e dei ragazzi del centro di partecipazione L’Urlo – comprendeva ovviamente molto di più: tavoli sui quali facevano mostra di sé gli oggetti più improbabili, corde tese tra gli alberi dalle quali pendevano agganciate riviste e pashmine, pile di vinili, espositori colmi di libri, bigiotterie scintillanti, attaccapanni gremiti di giacche, cumuli di maglie e maglioni, scatole riempite con vecchi giocattoli. L’evento serviva una nobilissima causa: resuscitare attraverso lo scambio merce inutilizzata e morta, restituire valore a ciò che giaceva dimenticato in fondo ai cassetti, nelle cantine.

Il baratto è questo: cedere un ricettario per una lampada, una borsa per uno stendi panni, un piumone per una spilletta; evadere la logica commerciale che relaziona prodotto e prezzo, considerare un bene unicamente in virtù della sua utilità contingente, svincolarsi dalla sindrome del cartellino. Sembra facile? No, non sembra facile perché di fatto non lo è. L’abitudine al denaro è per ovvi motivi radicatissima: per questo chi negli ultimi anni si è impegnato per la promozione del baratto ha incontrato non pochi ostacoli da superare, di natura in primis organizzativa. Non basta ideare l’evento di scambio, pubblicizzarlo, sensibilizzare le persone: una volta raccolti i partecipanti e gli oggetti nello stesso luogo e nello stesso momento occorre stabilire e concordare “le regole”. Da questo punto di vista quanto più ci si allontana collettivamente dall’idea di valore tradizionalmente intesa (quanto  ho pagato l’oggetto che metto a disposizione?), tanto più spontanea e fluida sarà la trattativa. Esistono swap party (questo è gergo da addetti ai lavori ma la complessità dell’inglesismo è tutta apparente, significa banalmente “festa dello scambio”) durante i quali una giuria di tecnici classifica la merce in macrocategorie. Questo succede solitamente quando il baratto viene organizzato per favorire la circolazione di prodotti specifici, solitamente vestiti firmati: a seconda della tipologia e della qualità dei capi portati i partecipanti ricevono dei bollini colorati, da scambiare con capi bollati alla pari. Il sistema spesso è semaforico: il peso della griffe viene distinto attraverso bollini verdi, gialli e rossi.

Foto di Chiara Galloni

I ragazzi di Sportello 28 hanno optato per l’opzione più semplice: uno vale uno. Inoltre al centro del giardino hanno allestito un piccolo gift corner, dove chiunque poteva lasciare e prelevare oggetti a piacimento. Questo ha velocizzato gli scambi? Sni. In Italia l’interesse per queste iniziative cresce giorno dopo giorno, complice ovviamente la crisi economica che trasforma la necessità in virtù. L’esempio più recente: domenica 5 maggio al Castello Sforzesco di Milano si è tenuta un maximercato alimentare organizzato dalla fondazione Campagna Amica, per fare la spesa a costo zero (per la serie: vorrei un chilo di arance, a quanto me le fa? Un cd e tre soprammobili kitsch. Grazie. Prego, tenga il resto).

L’ipotesi di diffondere su larga scala un sistema economico basato sul baratto ha dei limiti evidenti (come ben sapeva Teseo, leggendario inventore della moneta), limiti che si palesano anche all’interno di piccoli eventi come quello organizzato sabato pomeriggio a Ferrara. Qualche buon affare si conclude: io per esempio ho ceduto una collana africana (mai indossata) in cambio di una stilosissima giacca da bikers. Sono contenta io, credo sia parimenti contenta la ragazza con cui ho trattato. Non si può tuttavia tacere la realtà: spesso nelle bancarelle allestite in queste occasioni si trovano cose di cui chiunque si libererebbe volentieri, oggetti che pochi esseri umani al mondo vorrebbero accollarsi. Brutte riproduzioni della torre Eiffel piuttosto che del Colosseo, souvenir inguardabili, riviste illeggibili, dischi inascoltabili. Perché dunque varrebbe la pena continuare a spendere energie in direzione dello scambio, investire affinché queste iniziative siano sempre più diffuse e partecipate? Innanzitutto perché veicolano un diverso e più sostenibile approccio al consumo. Chi partecipa ad una Giornata del baratto forse in futuro, davanti all’ennesima vetrina di paccottiglia, rifletterà un secondo in più sull’opportunità di un possibile acquisto. In seconda battuta – qui si trova il nodo della questione – per le ascelle giovani leggermente sudate, per i teli colorati stesi sull’erba, per le bottiglie di the freddo e i tramezzini ripieni cotti dal sole, per la musica, per la periferia residenziale assonnata.

Il più grande traguardo raggiunto sabato dagli operatori di Sportello 28 – Matteo e Irina  – è proprio l’aver saputo portare chiacchiere e risate all’interno di un quartiere altrimenti silenzioso, aver invertito per un pomeriggio le dinamiche che regolano i rapporti tra centro storico e hinterland ferrarese, aver resuscitato attraverso lo scambio uno spazio altrimenti inutilizzato.

3 Commenti

  1. Francesca scrive:

    Condivido pienamente, il più grande beneficio che si può trarre dallo scambio informale è la socialità ripristinata!!
    Mi avete fatto ricordare l’esperienza di Rifiuto con Affetto! http://www.rifiutoconaffetto.it/

  2. Alessandro Caselli scrive:

    Bravi! Bella iniziativa da portare avanti e far crescere.
    Qui a Ravenna, Villaggio Globale organizza da anni la Fiera del Baratto e del Riuso presente come fiere periodiche sul territorio, un attivissimo gruppo Facebook e un’esperienza (che si conclude proprio questo mese) di bottega permanente: un successo grandioso fatto soprattutto di persone e di relazioni!
    La formula vincente della nostra Fiera del Baratto (come volontario e amministratore del gruppo Facebook la sento anche un po’ mia) risiede proprio nella filosofia di base che prevede lo scambio 1 a 1: ogni oggetto vale 1, se a te non serve più, indipendentemente da quanto lo hai pagato. Per agevolare gli scambi abbiamo una “moneta” unica – vale a dire un gettone di legno con il logo dell’associazione – che vale per qualsiasi baratto all’interno del circuito: in questo modo ogni scambio è possibile. Inoltre, a chi presta il proprio tempo, la propria opera, vengono riconosciuti 5 gettoni per ogni ora, così da valorizzare il tempo di ognuno.
    Non mollate e credeteci fino in fondo: il baratto non è figlio della crisi, ma di un modo nuovo (e vecchio) di guardare alla vita e di relazionarsi con gli altri.

  3. Storari Morena scrive:

    Bella iniziativa, premiato l’impegno dei ragazzi della Coop Camelot, che hanno lavorato con passione e cuore!
    Che non si senta più dire che i giovani sono bamboccioni. Bravi

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