Roba vecchia. Geniale. Incredibile. Inutile. Provinciale. Dovrebbero guardarlo tutti.

Sull’ambiguo filmato intitolato “Il sogno dell’alieno” ho ascoltato nelle scorse settimane i commenti e le critiche più disparate. Oggi mi piacerebbe – a due mesi circa dalla prima apparizione televisiva –  tentare di venirne a capo: districare la matassa delle chiacchiere, ordinare punti critici e punti di forza, possibilmente capire qualcosa di più su Ferrara e i ferraresi.

Innanzitutto: cos’è “Il sogno dell’alieno”? É un progetto ideato e sviluppato dal regista Alberto D’Onofrio, realizzato sul campo da quattro giovani di buona volontà, tre dei quali nativi o adottivi estensi: lo street artist/performer Andrea Amaducci, la sua ragazza Maria Ziosi, studentessa di farmacia, l’amico mc Matteo Camozzi, meglio conosciuto come Cry. Il “quarto elemento”: l’attrice milanese Paola Roberti.

D’Onofrio ha sfruttato uno dei disegni più conosciuti di Andrea – l’alieno che chiunque in città può scovare tra muri e bidoni, infilato in qualche vicolo – per attribuire al gruppo un nome e un logo, trasformarlo in un credibile seppur improbabile collettivo artistico: “Il sogno dell’alieno”. Da bravo burattinaio, che non visto svolge e tira i fili dell’azione, il regista ha spedito i quattro ragazzi in giro per l’Italia a recitare il ruolo dei contestatori creativi all’interno dei comizi e raduni elettorali più importanti. La notizia delle loro incursioni si è sparsa rapidamente e il finto collettivo è riuscito, in virtù della fama acquisita a suon di slogan e blitz provocatori, a confrontarsi con molti personalità a vario titolo impegnate nella res pubblica italiana (qualche nome: Grillo, Di Pietro, La Russa, Santanché). L’avventura si è conclusa a un passo dalle urne. Il materiale raccolto a partire dalla primavera 2012 – dai provini per formare il cast allo studio degli interventi pubblici, alle reazioni dei politici – è stato selezionato, montato e confezionato, sparato a febbraio 2013 in prima serata su Sky Cinema.

La reazione del pubblico ferrarese non si è fatta attendere: opinioni e interpretazioni hanno cominciato subito a circolare, ma si sono fatte decisamente più intense a seguito della presentazione organizzata a marzo presso la sala Boldini.

Foto di Valerio Spisani

Da una parte i sostenitori, coloro che dalla serata hanno colto qualcosa di buono. Dall’altra parte gli scettici, la selva dei perplessi. Nel mezzo un oceano di appunti, apprezzamenti col punto esclamativo e stroncature bisbigliate. Le motivazioni dei malcontenti si possono riassumere così: l’italiano medio è assolutamente consapevole dell’inconsistenza dei suoi amministratori dunque il video è inutile; è ripetitivo e noioso; è monco, avrebbe avuto un impatto diverso se il protagonista avesse finito per accedere direttamente all’agone politico attraverso una qualsivoglia candidatura. Sul versante opposto grandi applausi: una lezione sulla comunicazione di massa; un esperimento svolto con garbo e ironia a dimostrazione delle infine potenzialità del qualunquismo.

Personalmente considero la grande partecipazione che il filmato ha saputo suscitare il traguardo più interessante: vedere gremita la sala Boldini coi tempi e i filmacci che corrono non è assolutamente banale, come non è banale trovare online il giorno successivo una selva di esegesi e contro esegesi. A prescindere dai meriti o dai demeriti che si possono attribuire a “Il sogno dell’alieno”,  non si può che essere contenti di scoprire dentro le vecchie care insopportabili mura una città non solo pensante, una città esprimente. Tutto merito del cast a chilometro zero? Se i protagonisti non fossero cresciuti a cappellacci e salama che tipo di risposta avrebbe dato il pubblico locale? Secondo Amaducci il coinvolgimento per i ferraresi è forzatamente emotivo: “il fatto che in tanti mi conoscano più o meno direttamente impedisce un’analisi obiettiva del lavoro. La particolarità del filmato consiste nel cortocircuito tra realtà e finzione che riesce a generare, e che non si esaurisce una volta srotolati i titoli di coda. La confusione continua ad essere molta, lo dimostrano i tanti commentatori che sul profilo Facebook mi incitano a continuare la protesta. Io leggo tutto, osservo il fenomeno cercando di restare il più distaccato possibile, perché soprattutto nel luogo dove vivo suscita reazioni di carattere spesso molto personale, sentimentale se non addirittura concorrenziale”. Era prevedibile un feedback simile? “Non sono stupito da quello che sta succedendo. Sicuramente ora ho capito meglio cosa intendeva il mio amico Enrico, quando mi diceva che la statua del Savonarola non si trova in piazza per caso. In questa città resiste la tradizione del dito puntato, e ora che non si possono più tagliare le teste a piacimento ci si sfoga commentando su Estense.com”.

Dagli addetti ai lavori l’impresa nella quale si è cimentato lo street artist viene definita mockumentary, anglicismo che serve a indicare un filmato ibrido, a metà strada tra il documentario e la fiction. Tipo “Amici di Maria”? No. Wikipedia riporta un esempio più dignitoso per inquadrare il genere: “The War Game”, premio Oscar nel 1965, un finto reportage per il quale Peter Watkins mise in scena in Gran Bretagna niente meno che un attacco nucleare. Ma rientrano nello stesso controverso filone anche le riprese malferme e superpop di “The Blair Witch Project”, i gamberoni alieni di “District 9”, la rocambolesca parabola artistica di “Exit from the Gift Shop”. Rispetto a questi esempi lo straniamento e la confusione generati dal “Il sogno dell’alieno” sono stati ben più significativi, e questo credo sia il secondo grande traguardo raggiunto dal progetto: dimostrare quanto la transmedialità sia funzionale alla creazione di realtà. La messa in scena non è stata architettata semplicemente a livello di girato. D’Onofrio non ha ripreso qualcosa di finto in modo che sembrasse vero; ha calato qualcosa di spudoratamente fasullo all’interno del reale, sfruttando la virtualità di cui è permeato il tempo presente per attribuire veridicità al contenuto fake.

Il paradosso è solo apparente. La commistione dei diversi canali e linguaggi utilizzati – dai social network alla pay tv, dal classico quotidiano cartaceo alle più recenti testate online, dalla sala cinematografica alla televisione generalista – ha saputo generare un fenomeno diacronico capace di trascendere il semplice prodotto video, un fenomeno originato nell’azione performativa, transitato attraverso lo schermo, e che tuttora continua la propria corsa sfruttando blog e fanpage. “L’iterazione tra i vari supporti è stata fondamentale – racconta Amaducci -, adesso mi piacerebbe che si iniziasse a distinguere una volta per tutte finzione e realtà. Non so se da “Il sogno dell’alieno” nascerà un movimento o un ulteriore programma televisivo, l’unica mia certezza a riguardo è l’importanza di mantenere i contenitori separati”.

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